Le società benefit in Italia: sfide attuali e prospettive di miglioramento
di Diego Zonta
Sono oltre 4500 le imprese benefit oggi in Italia. Il dato risulta da una recente ricerca realizzata dal Research Department di Intesa Sanpaolo con Nativa, InfoCamere, Università di Padova, Camera di Commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit.
Introdotte con la legge di Stabilità 2016, le società benefit (SB) rappresentano un modello imprenditoriale innovativo che affianca allo scopo di lucro il perseguimento volontario di una o più finalità di beneficio comune, operando in modo responsabile, sostenibile e trasparente verso una pluralità di stakeholder. Questo modello ibrido, che coniuga profitto e impatto sociale/ambientale, si ispira alle Benefit Corporation americane e mira a promuovere un paradigma economico più inclusivo. Nonostante la crescita numerica, specialmente accelerata dalla maggiore sensibilità dei consumatori post-pandemia verso l'etica e la sostenibilità, il modello presenta però alcuni limiti e aree suscettibili di miglioramento.
Limiti e sfide attuali
Una delle principali criticità riguarda il quadro normativo e gli incentivi. È pur vero che era stato previsto un credito d'imposta pari al 50 per cento dei costi sostenuti per la costituzione o la trasformazione in società benefit. Tra le spese agevolabili rientravano i costi di iscrizione al Registro delle Imprese, le spese notarili, l'assistenza professionale e la consulenza specificamente destinate a tale scopo, fino a un limite massimo di 10.000 euro per impresa. Il credito d'imposta così maturato poteva essere utilizzato in compensazione tramite modello F24. Tuttavia, questa misura, pur rappresentando un aiuto iniziale, non ha rappresentato un regime fiscale agevolato “a regime” per l'operatività corrente delle società benefit. Questa mancanza le differenzia, ad esempio, da altre forme come le start-up innovative a vocazione sociale, che beneficiano di un trattamento fiscale più favorevole per gli investimenti nel capitale. L'assenza di agevolazioni stabili e continuative potrebbe disincentivare alcune imprese, specialmente quelle più piccole, dall'adottare o mantenere tale qualifica nel lungo periodo.
Un'altra sfida significativa risiede nella complessità della gestione e nella responsabilità degli amministratori. Questi ultimi sono tenuti a bilanciare l'interesse dei soci con il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi degli altri stakeholder. Questo "doppio mandato" richiede un sapiente equilibrio per evitare di sbilanciarsi verso la massimizzazione del profitto o, al contrario, verso un eccessivo perseguimento delle finalità sociali a scapito della sostenibilità economica, esponendo gli amministratori a potenziali azioni di responsabilità. La legge prevede la nomina di un responsabile d'impatto per vigilare sul perseguimento del beneficio comune, ma la concreta attuazione di questo bilanciamento rimane un compito delicato.
Gli obblighi di rendicontazione e valutazione rappresentano un ulteriore onere. Le società benefit devono redigere annualmente una relazione d'impatto, da allegare al bilancio e pubblicare, descrivendo obiettivi, azioni e risultati relativi al beneficio comune. Fondamentale è la valutazione dell'impatto generato, che deve utilizzare uno standard di valutazione esterno, indipendente, credibile, trasparente e basato su criteri specifici (governance, lavoratori, altri stakeholder, ambiente). Se da un lato la norma non impone un unico standard, favorendo un approccio flessibile e potenzialmente proporzionale alla dimensione aziendale, dall'altro l'identificazione e l'applicazione di standard adeguati, nonché l'eventuale coinvolgimento di "valutatori" esterni, comportano costi e complessità amministrative.
Infine, sussiste il rischio di "benefit-washing", ovvero l'adozione della qualifica per mere ragioni di immagine senza un impegno sostanziale. La vigilanza dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) su pratiche commerciali scorrette e pubblicità ingannevole è cruciale, ma la verifica dell'effettivo perseguimento delle finalità sociali resta complessa.
Proposte di miglioramento
Per superare questi limiti e rafforzare il modello, emergono alcune prospettive. Una delle più auspicate è lo sviluppo di un sistema di certificazione specificamente italiano o europeo. Tale sistema potrebbe fornire uno strumento standardizzato e riconosciuto per validare l'impegno delle SB, aumentando la credibilità verso consumatori, investitori e altri stakeholder, e distinguendo le imprese realmente virtuose da quelle che adottano la qualifica solo superficialmente.
Sarebbe utile anche una maggiore chiarezza normativa o lo sviluppo di linee guida sulle modalità di bilanciamento degli interessi da parte degli amministratori, al fine di ridurre l'incertezza e il rischio di contenziosi. Parallelamente, la promozione e la facilitazione dell'accesso a standard di valutazione esterni che siano realmente proporzionati alle diverse dimensioni e complessità aziendali potrebbero alleggerire l'onere amministrativo, specialmente per le PMI.
Infine, pur non essendo esplicitamente proposto nel testo, una riflessione sull'introduzione di incentivi fiscali o di altra natura, più stabili e strutturali rispetto al solo credito d'imposta iniziale, potrebbe rappresentare un forte stimolo per l'adozione e la diffusione di questo modello d'impresa, riconoscendone il valore aggiunto per la collettività.
In conclusione, le società benefit rappresentano un passo importante verso un'economia più sostenibile e attenta all'impatto sociale. Affrontare le sfide legate agli incentivi, alla governance, alla rendicontazione e alla certificazione sarà fondamentale per consolidarne il ruolo e massimizzarne il potenziale contributo allo sviluppo del Paese.