Le Sezioni Unite si pronunciano sulla responsabilità degli ex soci delle società cancellate
di Andrea Gaeta
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con l’attesa sentenza n. 3625 del 12 febbraio 2025, hanno affrontato il tema della responsabilità dei soci per i debiti fiscali di una società estinta, chiarendo alcuni aspetti rimasti controversi e adottando – lo si può anticipare – una soluzione convincente.
Volendo ricapitolare i termini della questione, occorre innanzitutto premettere che, secondo l’orientamento consolidatosi a partire dal 2010 con le sentenze delle Sezioni Unite nn. 4060, 4061 e 4062, a seguito della riforma del diritto societario del 2003 l’estinzione della società non discende più dal completo esaurimento dei rapporti giuridici pendenti, bensì dalla cancellazione dal registro delle imprese, che ha efficacia costitutiva. L’estinzione delle società, sempre secondo la Cassazione (si vedano le sentenze Sez. Un. nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013), determina un fenomeno successorio sui generis, in virtù del quale le obbligazioni della società si trasferiscono ai soci, che ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione oppure senza limiti, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente (si pensi alle s.n.c.) responsabili.
Occorreva, a questo punto, comprendere con quali modalità operasse la responsabilità patrimoniale dei soci che “succedono” alla società estinte.
Da un lato, infatti, la norma generale di cui all’articolo 2495 c.c. prevede, al terzo comma, che i creditori sociali possono far valere le proprie pretese nei confronti dei soci, nei limiti delle somme riscosse in base al bilancio finale di liquidazione; dall’altro, vi è una disposizione speciale tributaria, l’articolo 36 del Dpr n. 602/1973.
In particolare, tale articolo, poi parzialmente modificato dal Dlgs n. 175/2014, stabilisce che i liquidatori o gli ultimi amministratori dei soggetti Ires che non adempiono all’obbligo di pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione medesima e per quelli anteriori, rispondono in proprio del pagamento delle imposte se soddisfano crediti di ordine inferiore a quelli tributari o assegnano beni ai soci o associati senza avere prima soddisfatto i crediti tributari. Dal canto loro i soci, «salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile», sono responsabili nei limiti del valore dei beni ricevuti nei due anni ante liquidazione e nel periodo della liquidazione.
Secondo un consolidato orientamento (si veda Cass. n. 7327/2012) quella prevista dall’articolo 36 cit. è una responsabilità di natura civilistica, che insorge ai sensi degli articoli 1176 e 1218 c.c. al verificarsi delle condizioni poste dall’articolo 36, e indipendentemente dal dolo o dalla colpa. Tale responsabilità, che a differenza di quella dell’articolo 2495 non richiede l’estinzione della società, postula l’esistenza e la definitività del debito tributario (che non è necessario sia iscritto a ruolo, secondo le poco condivisibili Sezioni Unite n. 32790/2023), la sussistenza di un residuo attivo a seguito della liquidazione, l’assegnazione ovvero la percezione di beni o somme di denaro in un determinato arco temporale (durante la liquidazione e nei due anni precedenti al suo inizio), nonché l’infruttuosa escussione del patrimonio sociale.
Per accertare la responsabilità di liquidatori, soci e amministratori, stabilisce il quinto comma del citato articolo 36, è necessaria la notifica di un apposito «atto motivato», che è impugnabile davanti al giudice tributario. La necessità di tale atto dipende dal fatto che quello del socio/liquidatore/amministratore è un debito distinto dall’obbligazione tributaria dell’ente collettivo, anche se è a questa obbligazione che viene commisurato.
Per azionare l’articolo 2495 c.c., invece, il Fisco deve soltanto accertarsi dell’avvenuta cancellazione della società e dell’esistenza di debiti tributari non soddisfatti e, a quel punto, può limitarsi a notificare al socio l’atto con cui manifesta la pretesa. Così, secondo l’ordinanza n. 31904 del 2021, dalla quale le Sezioni Unite si discostano esplicitamente, l’Agenzia potrebbe limitarsi a iscrivere a ruolo, direttamente nei confronti dei soci, i tributi non versati dalla società estinta.
L’ordinanza interlocutoria n. 7245 del 14/03/2023 aveva chiesto alle Sezioni Unite di chiarire se la condizione (fissata dall’articolo 2495 c.c.) della riscossione delle somme in base al bilancio finale di liquidazione si rifletta sul requisito dell’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria o incida sulla legittimazione passiva del socio ai fini della prosecuzione del processo inizialmente iniziato dalla società. Si contendevano il campo tre orientamenti:
- secondo il primo, attualmente prevalente, il limite della responsabilità dei soci incide non sulla legittimazione, quanto sull’interesse ad agire dei creditori sociali, che non può essere escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato alla liquidazione. Poiché possono manifestarsi delle “sopravvenienze attive”, occorre tutelare l’interesse del creditore all’accertamento del diritto, da far valere, poi, in sede esecutiva;
- per altro orientamento, è l’Agenzia delle entrate, quale creditore, a dover provare la distribuzione dell’attivo sociale e la sua percezione da parte del socio;
- vi è infine un terzo orientamento secondo cui la percezione dei beni è il presupposto per l’assunzione della qualità di successore e, quindi, per la legittimazione processuale. Pertanto, se il socio intende proseguire il processo interrotto, deve provare di aver riscosso utili; se invece è destinatario di pretese come “successore”, deve provare di non aver ricevuto alcunché.
La sentenza in commento conferma il primo dei tre orientamenti qui sintetizzati, perché più coerente con l’insegnamento delle Sezioni Unite del 2013, ma lo rivisita alla luce della specificità della materia. Infatti, «il fulcro dell’autonomia del sistema tributario rispetto all’impianto codicistico» deve essere individuato nell’articolo 36 del Dpr 602/73, fattispecie che si pone «al di fuori di qualsiasi fenomeno di successione, continuità o co-obbligazione con la società» ma che istituisce (come accennato) una responsabilità civilistica e non tributaria, «con riguardo alla quale l’obbligazione d’imposta funge da mero presupposto della responsabilità stessa».
Il debito della società estinta, in altri termini, costituisce soltanto il presupposto della responsabilità del socio, che – è questa la fondamentale precisazione delle Sezioni Unite, “in linea” con la dottrina (si v. Deotto, Gli accertamenti nei confronti delle società estinte, in AAVV, Manuale Accertamento e Riscossione, Sole24Ore, 2021, p. 249) – dovrà sempre essere accertata con l’apposito «atto motivato» di cui al quinto comma dell’articolo 36, Dpr n. 602/73.
Poiché tale atto, come opportunamente precisa la sentenza al § 3.2, deve essere autonomo e originario, nel processo ripreso a seguito dell’interruzione causata dall’estinzione della società si potrà discutere soltanto dell’effettiva qualifica di (ex) soci dei soggetti subentranti, ma non potrà trovare ingresso la questione dell’avvenuta percezione (o non percezione, se si tratta di eccezione del socio) di attività sociali o quote di liquidazione.
Quest’ultimo aspetto costituirà, invece, l’oggetto del successivo processo scaturito dalla (eventuale) notifica dell’autonomo atto motivato, col quale il Fisco dovrà allegare e provare la responsabilità dei soci nei limiti di quanto da costoro percepito, anche in coerenza con la «regola generale, oggi anche sancita dall’articolo7 co. 5 bis d.lgs. 546/92» (disposizione alla quale, finalmente, si conferisce un autonomo significato “precettivo”).
In altri termini, anche in coerenza con la natura impugnatoria del processo tributario e con il divieto di ampliarne petitum e causa petendi in corso di causa, i due giudizi devono necessariamente avere oggetti distinti:
a) il primo, quello avviato dalla società, interrotto e poi e riassunto dai soci, è teso all’accertamento della sussistenza o dell’insussistenza del debito tributario;
b) il secondo deriva dalla notifica al socio dell’atto motivato (che, concernendo una responsabilità non tributaria, dovrebbe essere soggetto ai termini prescrizionali e non decadenziali: si veda già Cass. n. 12546/2001) e riguarda esclusivamente la sua responsabilità (che, come detto, potrà derivare anche da “sopravvenienze”).
Le Sezioni Unite ammettono che il Fisco, in tal modo, viene ad assumere una posizione deteriore rispetto a quella di qualsiasi altro creditore. Tuttavia, da un lato si riconosce come tale ricostruzione sia quella che più tutela il contribuente, e, dall’altro, si ricorda che, comunque, nel processo avverso l’«atto motivato», l’Ufficio potrà senz’altro avvalersi dell’eventuale giudicato favorevole ottenuto, formatosi nel primo giudizio nel contraddittorio con gli ex soci.
Le Sezioni Unite non mancano di prendere posizione, nella parte finale della motivazione, in merito all’articolo 28, comma 4, del Dlgs. n. 175/2014 ovvero quella (da più parti criticata) disposizione che prevede la sopravvivenza quinquennale delle società cancellate dopo il 13/12/2024 «ai soli fini della validità e dell'efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi».
Tale norma, se da un lato permette all’ex liquidatore di rappresentare validamente la società (civilisticamente) estinta, dall’altro conferma che i soci sono privi di legittimazione, e, quindi, non è idonea a incidere sul regime della responsabilità di costoro per i debiti fiscali dell’ente. Tale responsabilità, viene ribadito ancora una volta al § 3.3, dovrà essere specificamente accertata, nei confronti dell’ex socio, «con l’avvio di nuovo e diverso procedimento amministrativo di accertamento».
Per effetto della condivisibile ricostruzione della Suprema Corte, densa di implicazioni sia sostanziali che processuali, entrambe le posizioni risultano tutelate: il Fisco può ottenere soddisfazione dei crediti accertati ma divenuti inesigibili per effetto dell’estinzione del debitore ma, al contempo, il socio ha il diritto di ricevere un atto, specificamente motivato in merito alla propria responsabilità, che potrà contestare davanti al giudice tributario.