Le liti della riscossione: una strada sempre più in salita per il contribuente
di Alessandro D’Addario e Alessia Galati
Le liti in materia di riscossione hanno sempre rivestito un ruolo primario nel panorama giurisprudenziale tributario e non.
Sovente, infatti, accade che il contribuente, raggiunto da un atto della riscossione, assuma di non avere mai ricevuto alcunché in precedenza e che, se avesse potuto, avrebbe fatto valere le sue ragioni andando a censurare il merito della pretesa, oppure avrebbe potuto “limitare i danni”, corrispondendo minori sanzioni e interessi.
Nelle liti “pure” da riscossione, invece, è possibile unicamente rifarsi a motivi più “formali” (soprattutto: difetto di notifica dell’atto presupposto, prescrizione del diritto alla riscossione, decadenza dal potere di iscrizione a ruolo) e, pertanto, le difese del contribuente risultano più “contenute” rispetto a quelle che questi avrebbe potuto esperire tramite l’impugnazione dell’atto presupposto.
In tale contesto, assume assoluta rilevanza l’arresto della Suprema Corte n. 6436 dell’11 marzo 2025, con la quale il giudice di legittimità ha inteso seguire l’orientamento, più restrittivo per il contribuente, per il quale la mancata impugnazione di un atto intermedio della riscossione (nel caso affrontato, un’intimazione di pagamento), ancorché esso rechi un atto presupposto viziato in punto di notifica, o magari perché emesso a termini di prescrizione ormai spirati, comporterebbe la cristallizzazione del credito tributario ivi recato.
A tal proposito, a parere di chi scrive, sembra più persuadere l’opposta tesi, fatta propria dalla Corte di cassazione (cfr. Cass. n. 16743/2024) – per la quale, invece, l’impugnazione dell’intimazione di pagamento risulterebbe meramente facoltativa – in quanto maggiormente aderente ai chiarimenti “sistematici” del giudice di legittimità, in tema proprio di liti da riscossione.
Ma andiamo con ordine.
Il principio “base” è quello stabilito fin da Cass. SS.UU. n. 16412/2007 (valido tutt’oggi, cfr. Cass. n. 7156 del 17 marzo 2025), per cui l'omessa notificazione dell'atto presupposto consiste in «un "vizio procedurale" che, incidendo sulla sequenza procedimentale stabilita dalla legge a garanzia del contribuente, determina l’illegittimità dell'intero processo di formazione della pretesa tributaria, la cui correttezza è assicurata mediante il rispetto dell'ordinato progredire delle notificazioni degli atti, destinati, con diversa e specifica funzione, a portare quella pretesa nella sfera di conoscenza del contribuente e a rendere possibile per quest'ultimo un efficace esercizio del diritto di difesa. Si tratta, quindi, pur sempre di un vizio che ridonda sulla stessa sussistenza della pretesa tributaria, potendone determinare l'eventuale decadenza […]».
Questo “effetto domino” determina, per il contribuente, «la scelta, consentita dall'art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 [che, non a caso, recita espressamente “ne consente”, e non “ne obbliga”, n.d.r.], di impugnare l'atto consequenziale notificatogli […], facendo valere il vizio derivante dall'omessa notifica dell'atto presupposto, o di impugnare cumulativamente anche quello presupposto […] non notificato, facendo valere i vizi che inficiano quest'ultimo, per contestare radicalmente la pretesa tributaria» (Cass. n. 7156/2025, cit.).
La tesi della facoltatività dell’impugnazione dell’immediato atto consequenziale è stata, ancor più, rafforzata dalla medesima Corte di legittimità, che, nel valorizzare il diritto (inviolabile) di difesa ex articolo 24 Cost., ha statuito che, sulla base della considerazione per cui «la nullità della notifica di un atto presupposto inficia gli atti successivi [si sottolinea che la Corte, non a caso, usa il plurale, perché è la sequenza procedimentale ad essere invalidata, n.d.r.] determinando la nullità degli stessi», il «contribuente potrà, dunque, impugnare un atto consequenziale qualsiasi [l’enfasi è nostra, n.d.r.], impugnando con esso anche gli atti presupposti» (Cass. n. 2642/2022).
Il suddetto orientamento risulta aderente anche con altri due princìpi “basici” del nostro sistema tributario:
1. il primo, per cui è consentito impugnare, in generale, qualsiasi atto erariale «con il quale l’amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per quest’ultimo, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario» (Cass. n. 28812/2024);
2. il secondo, per il quale un atto della riscossione è sempre impugnabile per “vizi propri” (Cass. n. 22108/2024) e costituisce “vizio proprio” anche l’assenza del presupposto titolo esecutivo (sul punto, cfr. Cass. n. 4903/2025, secondo cui «la mancata notificazione dell’atto lesivo a monte» costituisce «un vizio proprio dell’atto lesivo a valle»).
La sentenza n. 6436/2025 si discosta da tutti i suddetti princìpi, e, anzi, sembra legittimare un modus operandi volto all’esazione di una pretesa “sostanzialmente ingiusta”, perché, ad esempio, mai conosciuta dal contribuente o prescritta.
Si pensi, ad esempio, ad una pretesa impositiva notificata ad un soggetto inesistente o a distanza di più di dieci anni dall’atto presupposto. In tal caso, se si seguissero gli insegnamenti di Cass. n. 6436/2025, l’amministrazione finanziaria potrebbe rimettersi “vita natural durante” in bonis, laddove vi fosse un’inerzia del contribuente nell’impugnare l’atto successivo, che “rivivrebbe” a seguito di una sanatoria ex post (peraltro non prevista da nessuna norma, poiché, come visto, è testualmente l’articolo 19, comma 3, Dlgs n. 546/1992 a prevedere la mera facoltà, e non l’obbligo, di impugnazione cumulativa dell’atto erariale immediatamente successivo).
In altri termini, Cass. n. 6436/2025 potrebbe avere l’effetto di “svuotare” oltremodo il diritto di difesa del contribuente nell’ambito delle liti della riscossione, facendo “risorgere” (o, addirittura, “far nascere”) una pretesa impositiva invalida ab origine.
In virtù del suddetto contrasto giurisprudenziale, ci si augura un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite o del Legislatore, al fine di “mettere ordine” e comporre questo dissidio, in una materia, quella della riscossione, che, ancora oggi, è oggetto di numerosissimi contenziosi in tutti i tribunali e presso le corti tributarie d’Italia.