Lo scorso 4 marzo è stato pubblicato il Focus Censis Confcooperative dedicato agli effetti dell’IA nel mondo del lavoro: se, da un lato, l’impatto in termini di PIL sarà di una crescita di un +1.8 per cento in 10 anni, dall’altro vi è un rischio sostituzione per 6 milioni di lavoratori, per la maggior parte donne. A cui si aggiungono 9 milioni di lavoratori ad “alta complementarietà”, sempre in prevalenza donne.
Il Focus evidenzia come le professionalità più “esposte” al rischio sostituzione/ affiancamento siano quelle a maggior grado di istruzione: in poche parole quasi il 90 per cento dei soggetti a rischio ha almeno un diploma di scuola superiore, mentre nei soggetti a bassa esposizione il 65 per cento è privo di titoli di studio.
Nel nostro Paese i soggetti a maggior grado di istruzione sono per quasi il 60 per cento donne: da un lato, quindi, sono più preparate ma, occupando i gradini inferiori delle professionalità, sono le più a rischio sostituzione.
Leggendo l’analisi del Focus si potrebbe concludere: l’Intelligenza Artificiale porta ad un significativo incremento di PIL a fronte di una riduzione di lavoratori impiegati in professioni intellettuali ripetitive, caratterizzate da una maggior presenza femminile. Possiamo estremizzare con: a meno lavoratrici corrisponde un incremento del PIL?
La provocazione non nasce per sostenere battaglie di genere, ma serve per analizzare l’attuale mercato del lavoro e le distorsioni che esso presenta, le quali non permettono alle donne di uscire da una condizione che le porterà lentamente a fuoriuscire dal mondo attivo, con serie difficoltà di ricollocazione.
Partiamo dal dato statistico relativo al grado di istruzione: il numero delle laureate (dati Miur 2003- 2023), si attesta al 57 per cento del totale, con una prevalenza nelle materie umanistiche e della formazione (quasi l’80 per cento dei laureati sono donne) e una assoluta minoranza in ambito informatico e tecnico-ingegneristico (con le stesse percentuali, ma rovesciate a favore degli uomini). Le discipline economiche, giuridiche e scientifiche, quelle a maggior rischio di sostituzione/affiancamento, vedono una presenza di laureate pari al 57 per cento in perfetta coincidenza con il dato presente nel Focus dei soggetti a rischio.
Se la presenza femminile nei posti di lavoro a rischio è del 54 per cento, saranno davvero 54 le donne “sostituite” ogni 100 soggetti? O, nella realtà, il dato potrà essere anche peggiore? Lo studio non affronta il tema delle gerarchie interne alle professionalità, del tipo di contratto e della possibile ricollocazione, anche in altri settori dei soggetti a rischio.
Nello studio del 2019 di Job Pricing così veniva riportato: “Nonostante l’istruzione sia uno dei principali veicoli per raggiungere le posizioni di lavoro meglio remunerate … perché agevola l’accesso a ruoli organizzativi più elevati (ad oggi il 58 per cento dei Dirigenti e 56 per cento dei Quadri è laureato), le donne non riescono a godere a pieno di questo teorico vantaggio” ed, anzi, il gender pay gap fra i laureati è pari al 32.8 per cento.
Peraltro, dalla lettura combinata delle conclusioni presenti nel Focus e dei dati Istat rielaborati dalla Fondazione dei Consulenti del Lavoro nel 2024 emerge come gli sforzi fatti per “elevare il lavoro qualificato femminile” hanno consentito di incrementare la presenza femminile proprio nelle professionalità destinate ad essere sostituite dall’IA.
Un’analisi più approfondita dei dati fa quindi temere che nel prossimo futuro la perdita di posti di lavoro qualificati sia più marcata in ambito femminile.
Come uscire allora da questo circolo “vizioso”?
Senza un cambio di passo, innanzitutto delle donne stesse, difficilmente vi sarà, medio termine, un miglioramento della condizione femminile nel mondo del lavoro. Le donne continueranno ad occupare i settori della formazione (dove, nonostante, la massiccia presenza subiscono comunque un gender pay gap), della sanità, della cultura, pur senza avere posizioni di forza, se non numerica, anche in questi ambiti, mentre verranno, via via, escluse da tutte quelle professionalità e professioni dove, pur avendo oggi una significava presenza, svolgono mansioni ripetitive a basso valore aggiunto.
La chiave del prossimo presente femminile potrebbe essere legata proprio alla capacità di governare le “macchine” (nonostante taluni studi dimostrino che proprio le IA possono alimentare stereotipi e bias di genere), trasformandole in preziose alleate: demandare ad esse le funzioni che non richiedono assunzioni critiche e decisionali, al fine di ottimizzare tempi e risorse, così da potere, a parità di produttività, avere il giusto spazio per “godere” anche della propria vita (che non è, beninteso, riconducibile solo alle esigenze familiari).
Non tutte saranno in grado di cambiare paradigma, vuoi per età o indole personale; in questi casi potrà esservi una ricollocazione per settori affini, per qualifiche inferiori a bassa sostituzione o la definitiva uscita dal mondo del lavoro.