Lavoro sportivo dei minorenni: tra tutela, formazione e prospettive evolutive
di Pamela Rinci
La riforma dello sport (Dlgs. 36/2021) ha aperto alla possibilità di impiegare minorenni in attività sportive retribuite, integrando un complesso equilibrio tra diritto al lavoro, tutela della persona e finalità educative.
1. La nuova frontiera del lavoro sportivo giovanile
Nel linguaggio della Riforma, lo sport non è più solo agonismo o volontariato, ma attività economica regolata, anche nel settore dilettantistico. In questo contesto, l’impiego di minorenni – in qualità di atleti, tecnici o collaboratori – non rappresenta un tabù, ma un ambito ad alto tasso di responsabilità giuridica. Il Dlgs. 36/2021, all’articolo 33, comma 6, rinvia espressamente alla L. 977/1967 sulla tutela del lavoro dei bambini e degli adolescenti, richiedendo alle società sportive di adottare misure organizzative e di protezione, inclusa la nomina di un Responsabile Safeguarding.
2. La cornice normativa: un intreccio multilivello
Il sistema di riferimento si articola su tre piani: nazionale (L. 977/1967, Dlgs. 345/1999, L. 296/2006), europeo (Carta dei diritti fondamentali dell’UE, articolo 32) e internazionale (Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, 1989). Tutte convergono sul principio che non è vietato il lavoro minorile, ma lo sfruttamento.
3. Lavorare nello sport: età, limiti e condizioni
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