“Lavorare nei sogni” – SPECCHI DIGITALI: RACCONTI E RIFLESSIONI SULL’UMANITÀ RIFLESSA NELLE SUE MACCHINE
di Gabriele Silva
Ci sono mattine in cui lavoriamo prima ancora di svegliarci.
La sveglia non è ancora suonata e già stiamo scrivendo mail mentali, simulando riunioni, immaginando risposte da dare o errori da correggere.
Il confine tra lavoro e sogno, tra vita e simulazione, è sottile.
E a volte ci si sveglia già stanchi, come se la mente avesse timbrato il cartellino durante la fase REM.
Nel film Inception di Christopher Nolan, Dom Cobb è un “estrattore”: entra nei sogni degli altri per rubare informazioni. Ma l’impresa più complessa che affronta è impiantare un’idea senza che la persona ne sia consapevole.
È questa la vera “inception” (innesto): non convincerti di qualcosa, ma farti credere di averci pensato tu.
Un’operazione delicatissima, che deve aggirare le difese logiche e insinuarsi nei luoghi più profondi della coscienza.
Ora, fermiamoci un attimo.
Nel nostro lavoro, quante delle cose che facciamo nascono davvero da noi?
E quante sono “impiantate” – da un algoritmo, da una cultura aziendale, da un certo lessico della produttività, da un’influenza esterna talmente sottile da sembrare naturale?
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