L’atto di indirizzo sull’abuso del diritto alla prova dell’operatività degli uffici
Di Andrea Agassa
La concreta applicazione dell’Atto di indirizzo del 27 febbraio 2025 concernente l’abuso del diritto dipenderà dalla declinazione dei principi in esso contenuti che sarà fornita dall’Agenzia delle entrate nei suoi documenti interpretativi.
Le direttive sancite nell’Atto, sicuramente opportune e da accogliere con favore, dovranno affrontare l’ostacolo della verifica caso per caso che sarà oggetto dell’operato degli organi dell’amministrazione finanziaria; solo dopo aver riscontrato il comportamento di questi ultimi sarà possibile avere piena contezza dei concreti effetti dell’Atto di indirizzo.
Alcuni temi si prestano a riflessioni sulle quali ci si dovrà confrontare e il dibattito, ne sono certo, non mancherà.
Evidenziamo il passaggio dell’Atto in cui si ricomprende tra i vantaggi fiscali e, in particolare, tra i benefici “anche non immediati” il differimento di imposizione, “cioè le situazioni nelle quali il contribuente consegue un vantaggio finanziario, purché si tratti di un rinvio della tassazione sine die o significativamente posticipato, dunque non meramente temporaneo.”
È evidente che, così posta la questione, assume rilevanza l’arco temporale che dovrà essere oggetto di monitoraggio; se pensiamo al differimento - che si verifica di frequente – riguardante la distribuzione dell’utile occorrerà domandarsi quando il rinvio della distribuzione dà luogo a un vantaggio temporaneo e quando invece a un beneficio significativamente posticipato. Quale sarà la risposta che arriverà dalla prassi e dalla giurisprudenza su questo aspetto? Ma al di là di questo problema, il tema vero è se l’amministrazione finanziaria “accetterà” il ragionamento secondo il quale, trattandosi di mero vantaggio finanziario (supposto indebito), il recupero a tassazione dovrebbe riguardare i soli interessi. Sicché la contestazione dovrebbe vertere, ad esempio, sul fatto che le imposte sono state pagate dopo cinque anni, e non nel primo anno, con il mero recupero degli interessi su tale arco temporale, senza per questo contestare l’intera operazione. Tale impostazione sarà accettata dall’Agenzia delle entrate?
Senza considerare che nel nostro sistema del diritto societario la decisione di non distribuire dividendi o di distribuirli in là nel tempo non dovrebbe essere sindacabile.
Altra affermazione dell’Atto è quella secondo la quale, nelle contestazioni per abuso del diritto, e in presenza di singole operazioni, si deve guardare alla ratio della norma fiscale applicata dal contribuente per verificare che tale ratio sia rispettata e non la ratio delle norme non applicate.
Questo principio, molto lineare, se applicato può condurre ad abbandonare discussioni che si protraggono da anni su diverse fattispecie. Un esempio per tutti: la cd. scissione di cassa. Si tratta di una scissione di un singolo asset che è del tutto legittima dal punto di vista civilistico e, in quanto tale, non dovrebbe, in linea generale, essere oggetto di sindacato in termini di elusione. L’obiettivo che si intende raggiungere con tale operazione è quello di separare, ad esempio, l’esercizio di un’attività imprenditoriale che resta in capo alla entità scissa dalla gestione della cassa che viene trasferta alla beneficiaria. Nella prassi amministrativa si è talvolta assistito a pronunce che imporrebbero la preventiva distribuzione di dividendi rispetto alla scissione della cassa. Ora, in disparte la considerazione (mai presa in considerazione dalla prassi amministrativa) che i dividendi non possono essere distribuiti in modo selettivo, cioè a singoli soci, ma vanno distribuiti a tutti i soci, andrebbe valorizzato il fatto che se si pone in essere una scissione di cassa si sta perfezionando una singola operazione – non si è quindi in presenza di una concatenazione di negozi – in perfetta coerenza con la ratio della norma applicata che è quella della separazione della gestione di due attività; non occorre, e lo afferma esplicitamente lo stesso Atto di indirizzo, verificare qual è la ratio della operazione alternativa che il contribuente avrebbe potuto analizzare.
E se non bastasse, la scissione di cassa ha quale obiettivo – lo ribadiamo - la separazione (in capo a soci diversi) di un’attività imprenditoriale dalla cassa e dalla gestione della stessa e il risultato cui si perviene con la scissione è del tutto diverso rispetto a quello cui si sarebbe pervenuti preventivamente distribuendo i dividendi. Non sono operazioni equivalenti.
Infine, l’Atto di indirizzo non si occupa del tema dei benefici temporanei che risultano poi neutralizzati da corrispondenti svantaggi in uno o più periodi di imposta successivi. Si tratta di una questione già affrontata in dottrina e che, in effetti, prende atto della circostanza che al momento in cui viene contestato l’abuso del diritto il risparmio d’imposta potrebbe essere già assorbito e, quindi, anche in tal caso il vantaggio sarebbe soltanto finanziario, riproponendo il tema del deferral e la tesi del mero recupero degli interessi. Per non parlare dei casi in cui la neutralizzazione avviene in periodi successivi a quello di contestazione dell’abuso e occorre rimediare a tale situazione per evitare fenomeni di doppia imposizione.