L’articolo 13 del “decreto sicurezza sul lavoro” e il gioco delle tre cariche: il MIMIT chiede aiuto al legislatore
di Giacomo Monti
La recente riscrittura - operata dall’articolo 13 del DL 159/2025 - dell’obbligo di comunicazione, da parte degli amministratori di società, del proprio domicilio digitale, merita di essere letta con un occhio particolarmente critico.
Non tanto per il contenuto tecnico, che pure solleva questioni rilevanti, quanto per la discutibile “correttezza istituzionale” dell’intervento: i destinatari del nuovo obbligo si trovano infatti esposti a un generale clima di incertezza, frutto di una modifica normativa poco chiara nell’intento e aggravata dalle contrapposte interpretazioni del MIMIT e delle Camere di Commercio.
Ripercorrendo brevemente gli eventi successivi alla novità introdotta con la legge di bilancio 2025 (articolo 1, comma 860, della L. 207/2024), si ricorda che:
- con il chiarimento di gennaio 2025, Unioncamere aveva ritenuto che il nuovo obbligo riguardasse solo le società di nuova costituzione, consentendo di indicare per gli amministratori lo stesso indirizzo PEC della società;
- a tale posizione fece seguito la nota del MIMIT (n. 43836 del 12 marzo 2025), di segno opposto e restrittivo, con cui il Ministero - senza alcuna base normativa - introdusse termini e sanzioni amministrative.
Ne derivò un periodo di forte confusione, caratterizzato da:
- una successiva nota interna di Unioncamere (aprile 2025), mai resa pubblica, con cui veniva di fatto sconfessata la posizione del MIMIT;
- prassi divergenti tra le diverse Camere di Commercio - emblematico il caso di Verona - che adottarono linee operative in aperto contrasto con il Ministero;
- fino alla pubblicazione, a fine giugno 2025, della nota MIMIT n. 127654, con cui veniva previsto, ancora una volta in assenza di fondamento giuridico, il “nuovo” termine del 31 dicembre 2025.
A valle di tali tensioni e in un contesto normativo del tutto estraneo - quello della salute nei luoghi di lavoro - il legislatore interviene quindi a chiara difesa del MIMIT con i commi 3 e 4 dell’articolo 13 del DL 159/2025.
La legge di bilancio 2025 aveva aggiunto nella parte finale del primo comma dell’articolo 5 del DL 179/2012, il seguente inciso, “nonché agli amministratori di imprese costituite in forma societaria”.
Il comma 3 dell’articolo 13 del DL 159/2025:
- alla lettera a), sostituisce le parole “nonché agli amministratori” con “nonché all’amministratore unico o all’amministratore delegato o, in mancanza, al Presidente del consiglio di amministrazione”;
- alla lettera b), sancisce che “Il domicilio digitale dei predetti amministratori non può coincidere con il domicilio digitale dell’impresa” e che “Le imprese che sono già iscritte nel registro delle imprese comunicano il domicilio digitale dei predetti amministratori entro il 31 dicembre 2025 e, in ogni caso, all’atto del conferimento o del rinnovo dell’incarico”
Il comma 4 introduce infine, in caso di inottemperanza, una specifica sanzione amministrativa, coincidente con quella prevista dall’articolo 16, comma 6-bis, del DL 185/2008.
Tuttavia, ad avviso di chi scrive, nel volere evidentemente prendere le parti del Ministero, il legislatore riesce a creare più dubbi di quanti ne risolva, “dimenticando” persino di fissare un termine che, in coerenza con i tempi di conversione del DL 159/2025, consenta di adempiere al nuovo obbligo con la necessaria tranquillità.
Nascono così nuovi interrogativi.
La scelta di richiamare ora solo l’amministratore unico, l’amministratore delegato o, in mancanza, il presidente del consiglio di amministrazione esclude tutti gli altri membri del CdA privi di deleghe operative?
Il presidente, che resta pur sempre legale rappresentante, è soggetto o no all’obbligo qualora vi sia anche un amministratore delegato?
E le società di persone, dove tali cariche solitamente non esistono, sono automaticamente escluse?
La nuova nota di UnionCamere
Proprio alla luce della recente modifica normativa, in data 10 novembre 2025 Unioncamere ha diffuso una nuova nota esplicativa, con cui fornisce chiarimenti operativi in ordine all’ambito soggettivo e temporale dell’obbligo di comunicazione del domicilio digitale.
Nel documento in questione, l’ente confermerebbe che sono esclusi dall’obbligo gli amministratori di società di persone, nonché coloro che, nelle società di capitali, assumono cariche diverse da quelle di amministratore unico, amministratore delegato o, “in mancanza”, di Presidente del consiglio di amministrazione.
Con riguardo al termine temporale, Unioncamere conferma, inoltre, che per coloro che alla data del 31 ottobre 2025 ricoprono una di dette cariche, la comunicazione va effettuata entro il 31 dicembre 2025.
Ad avviso di chi scrive, tuttavia, sorgono ulteriori dubbi, in particolare:
- l’obbligo sussiste anche per coloro che dovessero cessare dal proprio mandato nel periodo transitorio, quindi tra ottobre e fine dicembre?
- nel caso di un consiglio di amministrazione, formato, ad esempio, da un Presidente con deleghe operative, e da uno o più amministratori delegati, l’obbligo si estende a tutti i membri o solo a coloro che sono formalmente nominati come amministratori delegati?
Chi scrive ha più volte segnalato le forti perplessità legate a questo nuovo adempimento; perplessità che non vogliono apparire come una sterile critica, bensì come un richiamo concreto ai rischi e ai problemi operativi che l’obbligo comporta.
Basti pensare al rischio che provvedimenti indirizzati alla società vengano notificati solo ad amministratori ormai cessati, o alle difficoltà di gestione della PEC per amministratori stranieri.
Ma la domanda originaria resta: questa nuova comunicazione serve davvero?
La speranza è che, in questa disputa surreale - generata dal legislatore - tra MIMIT e Camere di Commercio, non si finiscano per imporre nuovi oneri e costi del tutto ingiustificati. In un Paese in cui la “semplificazione” viene venduta come obiettivo e si rivela, ogni volta, un miraggio sempre più distante.
In attesa che le nuove lacune interpretative vengano colmate, non resta che auspicare almeno nella concessione di un termine più ampio per adempiere a questo ennesimo obbligo “semplificatore”.


