Succede così. Il cliente chiama, trafelato, e dice: “Devo dare l’anticipo del TFR a due dipendenti. Me lo prepara per domani?”. Oppure scrive una mail stringata, “Uno dei ragazzi ha bisogno di soldi, mi metta in busta ogni mese l’anticipo sul TFR”.
E il tono è quello tipico della comunicazione di servizio. Un po’ come se chiedesse una visura camerale o un documento da stampare.
Quello che viene chiesto – con leggerezza, talvolta con pressioni emotive – è in realtà un atto tutt’altro che neutro, con implicazioni giuridiche, contributive e ispettive notevoli.
Eppure, in tanti casi, viene vissuto come una banale gentilezza aziendale.
Il consulente come filtro tra norma e prassi
Nel nostro ruolo c’è spesso questa doppia trappola: da un lato i datori di lavoro, che vogliono “accontentare” i dipendenti (per quieto vivere, senso di umanità o timore di conflitti); dall’altro i dipendenti stessi, che trattano il TFR come una sorta di salvadanaio personale, accessibile su richiesta.
In mezzo ci siamo noi, a cercare di spiegare – per la centesima volta – che non si può dare il TFR “a rate” ogni mese, o una volta all’anno “perché tanto è maturato”, o senza una specifica motivazione e documentazione.
Cosa dice la norma e cosa ha appena ribadito l’Ispettorato Nazionale del Lavoro
L’articolo 2120 del Codice Civile disciplina nei primi cinque commi i criteri di calcolo del TFR e nei commi successivi le condizioni in presenza delle quali è possibile chiedere un’anticipazione del trattamento di fine rapporto.
Dice che il lavoratore può chiedere l’anticipo solo se:
ha almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro;
la richiesta è in costanza di rapporto (cioè, senza cessazione);
l’importo non supera il 70 per cento del TFR maturato alla data della richiesta;
l’anticipo è concesso una sola volta nell’intero rapporto di lavoro;
è giustificato da spese ben precise:
spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti da strutture pubbliche;
acquisto della prima casa per sé o per i figli (documentato con atto notarile).
E, anche soddisfatte tutte le condizioni, l’anticipazione non è automatica: le richieste sono soddisfatte entro i limiti annuali del 10 per cento degli aventi diritto e comunque del 4 per cento del totale dei dipendenti.
Fin qui, tutto lineare.
Peccato che l’ultimo comma introduca una possibile apertura, spesso interpretata in modo frettoloso o strumentale dall’imprenditore:
“Condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali.”
Ed è qui che si innesca la confusione.
Molti datori di lavoro leggono questa frase come un “via libera” all’erogazione anticipata continuativa, mensile, o a richiesta.
Ma non è così.
Come ha recentemente chiarito anche l’Ispettorato Nazionale del Lavoro nella nota INL n. 616/2025 del 3/04/2025, “è tuttavia da ritenere che la pattuizione collettiva o individuale possa avere ad oggetto una anticipazione dell’accantonamento maturato al momento della pattuizione e non un mero automatico trasferimento in busta paga del rateo mensile”, come fosse una voce fissa.
In quel caso, infatti, non si parla più di TFR ma di maggiore retribuzione, soggetta a contribuzione, e potenzialmente oggetto di sanzione ispettiva, con obbligo di riaccantomento delle somme indebitamente anticipate.
Ancora una volta l’INL ribadisce che la ratio stessa dell’istituto è quella di assicurare al lavoratore un supporto economico al termine del rapporto di lavoro.
In sintesi: nessuna “prassi aziendale” può derogare alla legge. Né per comodità, né per consuetudine.
Postilla (vera) di fine giornata
Ore 18:47. Il telefono squilla.
– “Dottore, la ringrazio davvero. Come sempre, lei è un passo avanti. Mi ha spiegato tutto in modo chiarissimo via mail: la normativa, la Cassazione, l’Ispettorato… veramente impeccabile.”
(Pausa. Respiro.)
– “E adesso me lo prepara l’anticipo del TFR per Mario, come le ho chiesto stamattina?”
Sipario.