Una delle forme attraverso le quali si può manifestare la violenza di genere è la c.d. violenza economica: un vero e proprio abuso, che costituisce reato e che consiste nel controllo delle risorse finanziarie da parte di un partner sull’altro, creando dipendenza economica e mancanza di autonomia e libertà in chi la subisce. È una forma di possesso e di prevaricazione che ostacola l’emancipazione economica della partner, purtroppo molto attuale e diffusa nelle situazioni caratterizzate da violenza domestica.
La violenza economica si può manifestare attraverso svariate modalità e strategie. Le più frequenti sono la limitazione delle risorse e l’esclusione dalle decisioni finanziarie, ma il partner può anche negare alla compagna o alla propria moglie la partecipazione a percorsi formativi; le può impedire di trovare un’occupazione; le chiede di licenziarsi dal proprio impiego lavorativo (quando non esige che lo faccia); oppure, ancora, la fa lavorare nell’azienda famigliare senza retribuzione né utili; controlla gli scontrini relativi alle spese di famiglia e pretende di conoscere il modo in cui è stato speso il denaro, o le nega la possibilità di utilizzare carte di credito. E ancora, mette la vittima nelle condizioni di dover chiedere i soldi, spende per sé il denaro che dovrebbe essere invece utilizzato per le spese famigliari, come affitto o bollette, contrae e/o accumula debiti utilizzando il nome della vittima.
La Suprema Corte ha avuto modo di chiarire e specificare che hanno una rilevanza penale anche quelle “condotte impositive di forme di ‘risparmio domestico’ quale modalità pervasiva di coartazione e controllo dell’imputato nei confronti della moglie, pur economicamente autonoma, idonea a determinare un sistema di relazioni basato su un regime di controlli inutilmente vessatori e mortificanti “(Cass. Pen., sez. VI, n. 6937/2023).
È evidente come comportamenti di questo tipo determinino un isolamento della vittima, peggiorino le sue condizioni di vita e in sostanza rappresentino un ostacolo, praticamente insormontabile, all’affrancamento da queste penose condizioni di vita. Una donna isolata, senza alcuna autonomia né educazione finanziaria, spesso con dei bambini piccoli da mantenere e gestire, non avendo un’attività lavorativa idonea al sostentamento non riuscirà facilmente a sottrarsi a questa situazione. Ecco perché occorre sempre di più, e sempre con maggior urgenza, sostenere e incrementare progetti, attività formative e di sensibilizzazione che possano concretamente aiutare le donne a rendersi autonome e indipendenti, prima di tutto proprio dal punto di vista economico.
Sotto il profilo strettamente giuridico, la violenza economica ha trovato un riconoscimento nelle decisioni della giurisprudenza, la quale ormai pacificamente considera questa condotta come una delle modalità con cui si possono realizzare i maltrattamenti di cui all’articolo 572 del codice penale (di recente, per esempio, Cass. Pen., sez. VI, n. 1268/2025).
A livello sovranazionale, invece, le disposizioni che si occupano della violenza economica sono diverse. In particolare, la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia nel 2013, la quale introduce disposizioni minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) all’articolo 3, dopo aver precisato che la violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani, stabilisce che essa “comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica…”. Mentre all’articolo 18 dispone che gli Stati debbano adottare misure per accrescere l’autonomia e l’indipendenza economica delle donne vittime di violenze.
Anche due direttive europee fanno riferimento alla violenza economica: la numero 29/2012 (che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato) che specifica che la violenza di genere può provocare danni di tipo economico, e la numero 1385/2024 (sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica) che, nelle definizioni, afferma che la violenza economica è una delle modalità con cui si può realizzare la violenza domestica.
Come appare evidente, sono stati fatti parecchi passi avanti, sia in ambito legislativo che giurisprudenziale. Tuttavia, la strada per combattere questa odiosa forma di violenza è ancora lunga, e il solo intervento giuridico non basta. Occorre una maggiore sensibilizzazione anche dell’opinione pubblica, affinché vengano superati quegli stereotipi (“le donne sono incapaci di gestire i soldi”, per esempio) che di fatto limitano la loro indipendenza rendendole più vulnerabili al ricatto e quindi più esposte alla violenza economica.
Il tema della violenza di genere è stato affrontato più volte su Blast, ed è stato approfondito anche nell’episodio 5 del podcast.