L’abuso del diritto si configura come una clausola residuale (come si è sempre sostenuto) rispetto alla libertà di scelta del contribuente e alle vicende riconducibili all’evasione.
È questo uno dei passaggi più rilevanti – ma forse il più significativo – contenuto nell’atto di indirizzo in materia di abuso del diritto firmato oggi dal Vice Ministro Maurizio Leo, documento al quale si dovranno attenere le circolari dell’amministrazione finanziaria.
L’atto di indirizzo ripercorre l’esegesi della disciplina dell’abuso del diritto e mette in risalto che il documento «intende fornire agli uffici le indicazioni metodologiche necessarie per un’applicazione dell’articolo 10-bis che sia, al tempo stesso, coerente con la sua ratio e rispettosa delle scelte negoziali del contribuente, comprese quelle che consentono a quest’ultimo un legittimo risparmio d’imposta».
Ed è proprio dal legittimo risparmio d’imposta che deve necessariamente partire l’indagine per individuare (per esclusione) l’abuso del diritto. L’atto di indirizzo sottolinea che il comportamento del contribuente deve essere considerato sempre legittimo sia quando deriva dalla scelta di un regime opzionale – previsto dall’ordinamento ma meno oneroso sul piano fiscale – sia quando deriva da un’operazione alternativa ad un’altra, parimenti legittima, ma comportante un minore carico fiscale.
Fermo restando quindi che sussiste la libertà del contribuente di condurre i propri affari secondo la modalità anche fiscalmente più conveniente (passaggio del documento da “scolpire nella pietra”), viene messo in luce che l’eventuale abuso va verificato solamente dopo che la fattispecie attuata dal contribuente non abbia comportato evasione, nella quale rientrano anche tutti i casi di simulazione e di frode, che si caratterizzano per una manipolazione della realtà (aspetto che si è sempre sottolineato). In sostanza, nell’abuso non c’è asimmetria tra situazione formale e quella reale.
Considerata quindi la residualità dell’abuso del diritto, il documento si sofferma sulla centralità del concetto di vantaggio fiscale indebito. A tal fine, viene rilevato che, in primo luogo, occorre verificare se il contribuente ha «costruito» (termine in verità non molto felice) il negozio o la sequenza negoziale tradendo le finalità delle norme fiscali o ponendosi in contrasto con i principi dell’ordinamento tributario. In proposito, viene fatto un ampio riferimento all’attività interpretativa ispirata ai principi statuiti dall’articolo 12 delle preleggi, in base al quale «nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore». A tal fine viene sottolineato che, fermo restando che nell’ambito tributario occorre dare massima rilevanza al criterio di interpretazione letterale (su questo passaggio potremmo iniziare a scrivere un libro…), occorre comunque tenere conto dei lavori preparatori della legge, in quanto utili a ricostruire l’intenzione del legislatore.
Sicché viene messo in evidenza che, in linea generale, occorre certamente guardare alla ratio della norma applicata dal contribuente e non a quella o quelle di eventuali operazioni alternative. Ciò perché ci si porrebbe in contrasto con il principio di libertà di scelta stabilito dal comma 4 dell’articolo 10-bis dello Statuto.
In altri termini, quando è lo stesso sistema fiscale ad offrire un’alternativa fiscalmente più vantaggiosa rispetto ad un’altra, la scelta non può essere censurata (la frase, come qualche altro passaggio, sembra copiata da quanto chi scrive riporta da anni). Parimenti, non vi può essere abuso quando il contribuente si mette nelle condizioni di legge per fruire di un vantaggio previsto dal sistema.
Viene fatto specifico riferimento al tema dell’affrancamento delle partecipazioni (su cui “pendono” molte rettifiche dell’Agenzia), riportando che nel caso di successiva vendita a soggetti terzi non si può realizzare abuso del diritto, così come nel caso di trasferimento a favore degli altri soci, fermo il limite delle operazioni circolari.
Nel caso di operazioni complesse (diverse sequenze negoziali) il documento rileva che non basta verificare la ratio delle singole norme fiscali applicate dal contribuente, ma occorre anche avere riguardo anche ai principi dell’ordinamento, come, ad esempio, il principio di continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, il divieto di doppia deduzione, il divieto di salti d’imposta.
In tutti quei casi in cui il vantaggio viene reputato indebito (ma soltanto in queste ipotesi) occorre quindi individuare gli altri requisiti coessenziali dell’abuso: l’assenza di sostanza economica e l’essenzialità del vantaggio fiscale indebito (che vengono ritenuti speculari).
Quanto all’assenza di sostanza economica – molte volte vista, erroneamente, quale unico elemento costitutivo dell’abuso – viene specificato che vi rientrano quelle sequenze negoziali che nella loro concatenazione non producono modifiche significative alla sfera economico-giuridica del soggetto, in quanto i diversi negozi si elidono di fatto vicendevolmente, riportando i soggetti all’assetto giuridico-economico originario: si tratta, in sostanza, delle operazioni cosiddette “circolari”.
Nel complesso il documento appare davvero molto equilibrato e ragionevole e certamente in linea con i principi fondanti l’abuso del diritto.
A questo punto, la “palla” passa agli uffici (e ai giudici), i quali in molte occasioni hanno “simulato” o fatto “autogol”.