L'abisso della fiducia tradita: riflessioni sul rimborso IVA, la verifica fiscale e la crisi del principio di legalità tributaria
di Giuseppe Mogliani
In un contesto sempre più segnato dalla complessità delle regole fiscali e dalla presenza pervasiva dell'amministrazione, il rapporto tra contribuente e Fisco somiglia sempre più a un labirinto in cui il diritto si perde nella burocrazia.
Sorge allora una domanda cruciale: può lo Stato, che dovrebbe essere garante della legalità, bloccare a tempo indeterminato l'erogazione di un rimborso IVA già riconosciuto, basandosi solo su sospetti o su semplici richieste documentali?
L'articolo 30 del Dpr n. 633/1972 stabilisce chiaramente che il contribuente, in presenza di determinate condizioni, può chiedere il rimborso del credito IVA. Non si tratta di un favore dell'amministrazione, ma del riconoscimento di un vero e proprio diritto, come ha più volte confermato anche la Corte di Cassazione (Cass., sez. trib., sent. n. 10561/2019).
In tutto questo occorre ricordare che l’articolo 23 del Dlgs 472/1997 stabilisce espressamente che il pagamento del credito da parte dell’amministrazione può essere sospeso “se è stato notificato atto di contestazione o di irrogazione della sanzione o provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivi”.
Nella pratica, però, l’Agenzia delle Entrate tende a bloccare i rimborsi non solo in presenza degli atti sopra citati, ma anche in seguito a semplici controlli o richieste di documentazione peraltro citando la medesima previsione dell’articolo 23 del Dlgs 472/1997. La norma, tuttavia, non autorizza sospensioni fondate su meri atti istruttori privi di esiti definitivi. In mancanza di un atto formale e motivato, la sospensione del rimborso si configura quindi come illegittima.
Questo approccio amministrativo risulta dannoso per le imprese, che si vedono private di risorse finanziarie fondamentali. Si tratta spesso di liquidità necessaria per il funzionamento ordinario, l’innovazione e la competitività.
Il risultato è che il contribuente non è più trattato come soggetto di diritto ma come oggetto da controllare. Il suo credito diventa condizionato, incerto. Le scelte aziendali non sono più guidate dalla legge ma dalla paura di future contestazioni. Il diritto tributario diventa così un terreno instabile, sabbioso, dove il passo più sicuro può trasformarsi in trappola.
La Corte di Cassazione ha più volte censurato queste condotte. Con la sentenza n. 14618/2020 ha affermato che l'avvio di un controllo o una semplice richiesta di documenti non bastano, da soli, per sospendere un rimborso. Con la pronuncia n. 16809/2021 ha ulteriormente ribadito che ogni limitazione a questo diritto deve avere un fondamento preciso e previsto dalla legge, non potendo essere frutto di prassi o di interpretazioni estensive.
Un esempio emblematico di queste distorsioni è rappresentato dalla gestione dei crediti per Ricerca e Sviluppo. Molte aziende hanno usufruito di questi incentivi in buona fede, salvo poi trovarsi destinatarie, anche dopo anni, di atti di recupero per presunti errori o interpretazioni retroattive. Il credito, inizialmente riconosciuto, viene rimesso in discussione, trasformando l’incentivo in una potenziale sanzione differita.
Il sistema si regge dunque su una costante incertezza: il credito riconosciuto oggi può essere contestato domani. Le regole cambiano, e con esse cambia la sorte delle imprese che si erano affidate ad esse. Come in un gioco di specchi, il diritto si rifrange, si moltiplica, ma non si consolida.
Questa trasformazione del sistema fiscale mette in discussione la stessa fiducia tra Stato e cittadino. Il contribuente non è più visto come un soggetto responsabile ma come un potenziale evasore. Il controllo diventa fine a sé stesso. E così si indebolisce anche la libertà economica, che si fonda su regole certe e stabili. Come ammoniva Montesquieu, “un potere che teme di essere limitato è destinato a superare i propri confini”.
Forse è arrivato il momento di cambiare davvero approccio: non più contrapposizione ma collaborazione. Non sospetto ma fiducia. Il diritto deve essere garantito da regole chiare, applicate con equilibrio. Come osservava Luigi Einaudi, “la libertà si difende anche con il rigore delle leggi”.
Serve una riforma vera (ri-forma significa dare nuova forma, in questo caso alla fiscalità), non una rivoluzione. Un nuovo patto fiscale in cui legalità ed efficienza convivano. Resta però aperta una domanda fondamentale: quale futuro ha un sistema che, nel tentativo di proteggere l’interesse pubblico, rischia di negare i diritti individuali?
In questa domanda si gioca la sfida della giustizia tributaria di oggi e di domani.
-
Foto di Ralph da Pixabay