La tassazione di un trust estero tra reddito e capitale (risposta a interpello 239/2025)
di Daniele Muritano
La risposta a interpello 239/2025 dell’Agenzia delle entrate esamina il caso di un trust di diritto statunitense originariamente revocabile (c.d. grantor trust), divenuto irrevocabile a seguito della morte del disponente. Il trust era stato istituito in California da un cittadino statunitense, il quale rivestiva il ruolo di disponente, primo trustee e primo beneficiario, con ampi poteri discrezionali di revoca e modifica fino alla sua morte. Il fondo in trust consiste esclusivamente di beni mobili e immobili, tutti negli Stati Uniti. Alla morte del disponente è subentrato un nuovo trustee residente negli Stati Uniti che, in conformità all’atto istitutivo, ha avviato la liquidazione del fondo e la distribuzione del ricavato ai beneficiari finali secondo le percentuali prefissate dal disponente. Secondo la normativa fiscale statunitense, fino alla morte del disponente il trust è fiscalmente interposto, con tassazione dei redditi in capo al disponente; dopo la morte del disponente il trust diventa opaco, con tassazione dei redditi in capo al trust.
I beneficiari del trust, taluni dei quali residenti in Italia, interpellano l’Agenzia per sapere se il trust, anche dopo la morte del disponente, sia fiscalmente opaco, trasparente o interposto.
L’Agenzia, in primo luogo, esclude l’interposizione fiscale del trust nei confronti dei beneficiari italiani e ne afferma il riconoscimento quale autonomo soggetto d’imposta. Ciò in quanto dall’atto istitutivo non emergono elementi tali da limitare l’autonomia decisionale del trustee: quest’ultimo dispone di pieni poteri gestionali, senza essere eterodiretto dai beneficiari, sicché il trust non può essere considerato un mero schermo.
Il trust è però qualificato dall’Agenzia come “trasparente” ai fini fiscali italiani, poiché ai beneficiari residenti l’atto attribuisce diritti sul fondo in trust. In base all’articolo 73, comma 2, del Tuir, trattandosi di beneficiari “individuati” il reddito del trust è assoggettato a tassazione per trasparenza in proporzione alle quote di partecipazione stabilite nell’atto istitutivo. Nel caso di specie, dice l’Agenzia, poiché i beneficiari residenti hanno diritto a ricevere il ricavato (redditi e capitale residuo) del trust in misura prestabilita, i redditi prodotti successivamente alla morte del disponente devono essere imputati pro-quota a ciascun beneficiario residente a partire dall’esercizio in cui il trust è divenuto irrevocabile. L’Agenzia sottolinea inoltre che la natura “opaca” del trust, lato Stati Uniti, non impedisce che, lato Italia, il trust sia trasparente.
In ambito tributario è però centrale distinguere il regime dei redditi del trust da quello del capitale. L’eventuale trasparenza fiscale del trust, infatti, riguarda solo i redditi, che vengono imputati ai beneficiari come redditi di capitale, indipendentemente dall’effettiva percezione, se essi sono titolari di un diritto attuale alla loro distribuzione. Il capitale, invece, costituito dai conferimenti iniziali e dalle eventuali plusvalenze non tassate in capo al trust, è imponibile con l’imposta di donazione (trattandosi di trust familiare liberale) e solo al momento del trasferimento ai beneficiari. Nel caso esaminato dall’Agenzia, tuttavia, i beneficiari non avevano il diritto di ricevere il fondo in trust ma il diritto di ricevere il ricavato della liquidazione del fondo operata dal trustee dopo la morte del disponente. In altri termini, fino alla liquidazione e distribuzione finale, i beneficiari avrebbero vantato solo un’aspettativa giuridica sul risultato netto della liquidazione.
La differenza è cruciale: i redditi del trust sono imputati per trasparenza ai beneficiari; il capitale è tassabile solo quando è trasferito ai beneficiari in sede di attribuzione finale.
Questa impostazione è conforme alla disciplina contenuta nell’articolo 4-bis del Tus: l’imposta di successione e donazione colpisce l’attribuzione finale del capitale del trust ai beneficiari, in quanto è solo in questo momento che essi si arricchiscono. Ne consegue che durante la vita del trust – pur se il trust è trasparente ai fini reddituali – i beneficiari non sono titolari del fondo. Nel caso dell’interpello, quindi, i beneficiari italiani devono dichiarare per trasparenza i redditi maturati nel trust dopo la morte del disponente, ma la tassazione di ciò che riceveranno dopo la liquidazione del fondo sarà tassata solo al momento del trasferimento in loro favore.
Un profilo critico che emerge dalla lettura della risposta riguarda la formulazione adottata per descrivere i diritti dei beneficiari sul fondo in trust. Si sottolinea che i beneficiari sono titolari del diritto a ricevere il residuo fondo in trust dopo la morte del disponente, circostanza che li qualificherebbe come percettori di reddito individuato ex articolo 73, comma 2, Tuir. Questa espressione sembrerebbe attribuire ai beneficiari una (sorta di) titolarità estesa anche al fondo in trust (il “fondo residuo”, dice la risposta), oltre che ai redditi. Tale impostazione lessicale può generare equivoci. Se è vero che, ai fini delle imposte dirette, l’esistenza del diritto a percepire i redditi del trust ne giustifica la trasparenza ciò non equivale in senso civilistico a riconoscere loro un diritto attuale sul fondo in trust prima dell’attribuzione finale. La formula utilizzata dall’Agenzia nella risposta – se interpretata in modo estensivo – apparirebbe in potenziale contrasto con l’impianto sistematico delineato dalla Circolare 34/2022: i beneficiari non dovrebbero considerarsi già titolari anche del capitale, bensì solo destinatari futuri di quel capitale al verificarsi delle condizioni previste (liquidazione/assegnazione). Una lettura attenta della risposta porta a ritenere che l’intento dell’Agenzia fosse principalmente la qualificazione del trust come trasparente ai fini dei redditi. Tuttavia, sarebbe stato opportuno distinguere più chiaramente tra il diritto alla percezione dei redditi e il diritto a ricevere il capitale, per evitare confusioni interpretative.
Nel caso concreto, l’applicazione dell’imposta di successione e donazione è peraltro esclusa per carenza dei presupposti di territorialità di cui all’articolo 2 del Tus: il disponente (donante/de cuius) non era residente in Italia e i beni in trust sono tutti situati all’estero.
Pertanto, la distribuzione ai beneficiari italiani del ricavato dalla liquidazione del fondo in trust non sconterà l’imposta di donazione. L’unica imposizione rilevante sarà quella reddituale, con riferimento ai redditi di fonte estera eventualmente generati dal trust post mortem e imputati ai beneficiari residenti.
In conclusione, la risposta fornisce un utile inquadramento interpretativo per i trust esteri che, da revocabili e interposti durante la vita del disponente, divengono irrevocabili post mortem, nel caso in cui i beneficiari siano residenti in Italia. Se letta criticamente, la vicenda ribadisce la necessità di tenere distinti i piani impositivi: da un lato, l’Irpef sui redditi maturati dal trust (a carico dei beneficiari italiani); dall’altro, l’eventuale imposta di successione/donazione sul patrimonio trasferito. Una corretta pianificazione e consulenza professionale impone di considerare entrambi i profili, assicurando da un lato la dichiarazione dei redditi esteri per trasparenza (tenendo conto dell’esistenza della Convenzione Italia-USA contro le doppie imposizioni in materia di imposte sui redditi, ratificata dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 20), dall’altro la verifica delle condizioni di esenzione o applicabilità dell’imposta di successione o donazione.
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