C’è poco da girarci attorno: gli edifici sono dei veri e propri giganti energivori e produttori di CO2 essendo responsabili di circa il 40 per cento del consumo energetico globale e di un’analoga percentuale di emissioni di CO2 legate all'energia. L’Unione Europea, con la recente e controversa direttiva casa green, ha inteso porre un freno a questa dinamica di impatto, invertendone la rotta e ponendo alcuni obiettivi: tutti i nuovi edifici dovranno essere a zero emissioni a partire dal 2028, mentre quelli esistenti dovranno raggiungere la classe energetica E entro il 1° gennaio 2030 e D entro il 2033. Per il riscaldamento, si prevede il divieto di utilizzo di combustibili fossili entro il 2035 e l’abolizione di sussidi per l’installazione di boiler a combustibili fossili entro il 2024 (già recepito dall’Italia).
Le reazioni e le richieste di posticipare l’entrata in vigore delle norme, naturalmente, non si è fatta attendere da parte dei singoli Paesi dell’UE.
In tutto questo occorre riportare che, con un patrimonio edilizio fra i più vecchi in Europa e conseguentemente la peggior classe energetica, vi è l’Italia la quale, secondo i dati Istat, Enea ed Agenzia delle entrate, ha più del 60 per cento di edifici ed alloggi nelle due peggiori classi energetiche, ovvero la G e la F. Si omette in questa sede di richiamare il “superbonus”, il quale ha impattato a malapena sul 4 per cento degli edifici residenziali, lasciando un peso enorme sui conti statali.
Memori di questa non brillante esperienza, si è ritenuto peraltro di zavorrare il supporto al miglioramento energetico in ambito produttivo, con il risultato che Industria 5.0 risulta talmente complessa che ad oggi dei 6,2 miliardi allocati ne sono stati prenotati circa 500 milioni. Quindi, come si esce da questo cul-de-sac?
La risposta sta nel fatto che sia le attività di ristrutturazione ed adeguamento, così come quelle di nuova costruzione, devono essere pensate e realizzate con un approccio diverso, che sfrutti le potenzialità del digitale per ripensare il modo non solo di costruire ma anche di progettare, manutenere e gestire.
È qui che entra in gioco il BIM (Building Information Model), non come una bacchetta magica, ma come uno strumento potente e versatile in grado di affrontare le sfide della sostenibilità a 360 gradi. Il BIM non è solo una rappresentazione digitale 3D dell'edificio (o più propriamente un gemello digitale dell’edificio), ma un modello informativo intelligente che integra dati, informazioni e processi relativi all'intero ciclo di vita dell'opera.
Questa visione “olistica” permette di agire concretamente su diversi fronti per ridurre l'impronta di carbonio degli edifici. Nei termini che seguono:
Progettazione Energeticamente Efficiente, con simulazioni energetiche avanzate già in fase di progettazione.
Ottimizzazione dei Materiali e Riduzione degli Sprechi, calcolando con accuratezza le quantità di materiali necessari per la costruzione, minimizzando gli sprechi e gli ordini superflui.
Life Cycle Assessment (LCA), integrando dati ambientali dei materiali e informazioni sul progetto, è possibile valutare l'impatto ambientale complessivo dell'edificio.
Economia Circolare e Progettazione per la Deconstruction, con la quale è possibile progettare edifici pensati per la deconstruction e il riuso, facilitando il recupero e il riciclo dei materiali.
Gestione Efficiente della Fase Costruttiva, con miglioramento della comunicazione e la collaborazione tra tutti gli attori del processo costruttivo. Progettisti, imprese, fornitori, committenti che da sempre lavorano insieme al cantiere con innegabili perdite di efficienza nelle comunicazioni ora vedono un ambiente collaborativo che traccia e monitora i processi e i rispettivi owner.
Un circolo virtuoso, quindi, che non è assolutamente minimizzabile nell’adozione di un software, anzi, come evidenziato, impone un ripensamento dell’intero approccio al processo costruttivo e manutentivo. Una rivoluzione che impone però, allo stesso tempo, uno sforzo necessario da parte di un settore, quello dell’edilizia, in ottica di formazione ed upskilling del personale a tutti i livelli, essendo necessario sia sapere interagire con il digitale sia con i device necessari per il reperimento dei dati, i quali, parafrasando, diventano i veri “mattoni”.
D’altra parte volendo interconnettere BIM e criteri ESG non è difficile associarne le virtù.
In Italia il BIM è obbligatorio dal 2019 per gli Appalti Pubblici con soglie riferite al valore progetto che si sono via via decrementate per giungere, dall’1 gennaio 2025, ad imporne l’utilizzo per la progettazione e realizzazione di lavori di nuova costruzione e per gli interventi su costruzioni esistenti con stima parametrica del valore del progetto di importo superiore a 2 milioni di euro.
L’auspicio è che ci permetta di accelerare, recuperando l’enorme tempo perduto.