La bagarre suscitata dall’ipotesi di riduzione, dal 35% al 33%, dell’aliquota Irpef relativa allo scaglione centrale (da 28.001 a 50.000 euro lordi) pare muovere da incomprensioni di fondo, con critiche scientificamente infondate anche dal punto di vista costituzionale.
Occorre partire dal fatto che l’Irpef, nell’impostazione di Cesare Cosciani, fu progettata come imposta sul “reddito complessivo” (comprehensive income), onnicomprensivo dei redditi personali, da definirsi quali incrementi patrimoniali rispetto ad un assetto precedente. Orbene, la crisi dell’Irpef, che pare non cogliersi nelle recenti critiche alla novella legislativa, è stata riconosciuta tanto dagli economisti, quanto dai giuristi ed in ultimo attestata dal suo (attuale e) crescente “svuotamento”. Se, sulla carta, essa si compone della sommatoria di sei categorie - redditi fondiari, di capitale, da lavoro dipendente, da lavoro autonomo, di impresa e diversi - le numerose tassazioni sostitutive introdotte dai legislatori, di ogni colore politico, hanno reso, di fatto, l’Irpef un’imposta sul solo “lavoro”: i dati ci dicono, annualmente, che il gettito del tributo viene per lo più da parte da lavoratori dipendenti e pensionati (e, sia consentito, autonomi ed imprenditori di maggior significanza) e ciò in ossequio all’istituto della sostituzione d’imposta.
Senza pretesa di esaustività, il processo di svuotamento può cosi riassumersi.
I redditi fondiari, è noto, sono determinati, in un mondo pervaso dalla tecnologia e dall’IA, con l’ancestrale metodo catastale e quindi in maniera non effettiva. Inoltre, benché foriera di risultati in punto di contrasto all’ossimorica evasione immobiliare, con riferimento ai redditi da fabbricati va segnalato che la cedolare secca sugli affitti espunge dall’Irpef la quasi totalità di tali passive income, assoggettandoli ad aliquota proporzionale del 10% (canone concordato) o del 26%.
I redditi di capitale, per definizione internazionalmente mobili e con la valigia in mano, debbono subire una tassazione mitigata e comunque allineata a quella dei Paesi limitrofi: ecco allora, anche qui, una tassazione proporzionale: 12,5% (titoli di Stato), 20% o 26%.
I redditi di lavoro autonomo e delle imprese individuali di (un tempo) “minori” dimensioni sono assoggettati al regime forfettario che ha aliquote del 5% (primi 5 anni) o del 15% (a regime). Tale regime non è affatto marginale posto che è utilizzato da ben 1,9 milioni di contribuenti, un numero maggiore rispetto ai professionisti ed agli imprenditori individuali in regime Irpef (dati Mef, statistiche periodo di imposta 2022); non è nemmeno rivolto alle sole imprese ed ai soli professionisti in fase di start up: il loro limite di fatturato è oggi pari ad euro 85.000, un reddito paragonabile a quello di un quadro o dirigente d’azienda che scontano, senza possibilità di scelta, l’Irpef al 43%. Si consideri, altresì, che ciò che esula dall’Irpef, risulta estraneo anche ai suoi “accessori”, quali ad esempio le addizionali Irpef comunali o provinciali (regionale). Inoltre, un duplice effetto perverso si verifica qualora, per l’accesso a determinate agevolazioni, il “parametro” sia ancorato al “reddito complessivo”.
Quanto sopra illustrato consente di comprendere che l’assetto dell’Irpef è oggi ben lungi dall’essere una tassazione complessiva del reddito del contribuente e che i redditi ad essa nel tempo sottratti sono stati veicolati, tutti, nella direzione di una tassazione proporzionale secca, seppur variamente articolata.
Viene da chiedersi, allora, dov’è quella progressività che deve informare il sistema tributario a mente della nostra Carta fondamentale. La risposta, paradossale, è che essa è rimasta ed incardinata solo in ambito Irpef e solamente per le categorie di reddito non migrate verso altri lidi: i redditi da lavoro. Così che, paradossalmente, i redditi più meritevoli, perlomeno nell’ottica dell’articolo 1 della Costituzione (quelli, appunto, da lavoro), risultano tassati nella misura più aspra possibile.
Qualsiasi riduzione che intervenga, quindi, sui redditi da lavoro è da salutare con favore, e non può prestarsi a polemiche strumentali.

