La revisione delle sanzioni IVA dimentica il principio di proporzionalità
di Luigi Lovecchio
La dichiarazione Iva infedele, nella quale sono confluite operazioni con Iva detratta in misura superiore a quella di legge, non può essere sanzionata in misura proporzionale all’imposta, non essendoci stato alcun pregiudizio per l’Erario. La sanzione, seppure ridotta al 5 per cento dell’imponibile, prevista in caso di inversione contabile applicata ad operazioni soggettivamente inesistenti, non può essere irrogata se non si dimostra, su basi oggettive, la consapevolezza del cessionario di partecipare ad una frode fiscale.
La recente revisione delle sanzioni Iva, attuata con il DLgs. 87/2024, contiene alcune disposizioni che si pongono in manifesto contrasto con la normativa unionale, così come costantemente interpretata dalla Corte di Giustizia UE.
L’articolo 6, comma 6, Dlgs. 471/1997, come novellato dalla riforma, ha derubricato a violazione formale l’indebita detrazione di un’imposta maggiore di quella di legge, qualora l’Iva a debito sia stata regolarmente assolta dal cedente e l’operazione non sia avvenuta in un contesto di frode.
Rispetto alla previsione ante riforma, la medesima disciplina è stata estesa alle operazioni astrattamente non imponibili, esenti o non soggette, erroneamente assoggettate a Iva che, secondo la Corte di Cassazione (ord. n. 24289/2020), avrebbero dovuto essere sanzionate con il 90 per cento (oggi il 70 per cento) dell’imposta indebitamente detratta. L’interpretazione della Corte, peraltro, contravveniva in maniera frontale con l’orientamento della Corte di Giustizia UE (sent. 15.4.2021. C- 935/19) che ha ritenuto non conforme alla normativa unionale la sanzione del 20 per cento (sic!) applicata dall’Amministrazione polacca in caso di errato assoggettamento a Iva di un’operazione esente. Il leitmotiv di queste pronunce del giudice di Bruxelles è che le violazioni che non hanno determinato perdite di gettito per l’Erario non possono essere sanzionate con pene proporzionali all’Iva.
Per effetto della riforma, dunque, tutte le ipotesi di errato assoggettamento ad un’Iva maggiore di quella dovuta sono punite con la sanzione “fissa” da 250 a 10.000 euro.
Il punto critico è tuttavia costituito dal periodo finale del suddetto comma 6, a mente del quale la sanzione “fissa” in questione non è irrogabile se è comminata la sanzione per infedeltà del 70 per cento dell’imposta. Ora, in disparte dal “pasticcio” legislativo – già segnalato da Dario Deotto su queste pagine - rappresentato dal fatto che se invece risulta applicabile la minore sanzione del 50 per cento il trattamento sanzionatorio complessivo, stante la formulazione letterale di legge, diventa paradossalmente più elevata, in questa sede si intende evidenziare l’incompatibilità di qualsivoglia sanzione proporzionale per punire una irregolarità che, per l’appunto, non ha dato origine ad alcuna perdita di gettito per l’Erario se l’imposta è stata assolta dal cedente/prestatore. Si è dunque dell’avviso che, in sede contenziosa, si possa chiedere al giudice tributario la disapplicazione della norma interna, in nome del superiore principio di proporzionalità, di cui all’articolo 49 della Carta di Nizza, in virtù dei poteri riconosciutigli dalla stessa Corte UE (sent. 8.3.2022, C – 205/20).
Un altro tema critico riguarda l’articolo 6, comma 9-bis.3, DLgs. 471/1997, in merito alle operazioni soggettivamente inesistenti erroneamente assoggettate a Iva in regime di inversione contabile. In questo caso, viene prevista l’irrogazione della sanzione del 5 per cento dell’imponibile, oggi applicabile anche se l’operazione inesistente era astrattamente imponibile, e non solo esente, non imponibile o non soggetta, come accadeva prima della riforma. Nella medesima previsione, che sul punto specifico non si distingue da quella pregressa, viene inoltre stabilito che qualora la violazione sia commessa con intento di evasione, la sanzione irrogabile diventa quella del 70 per cento. Dal combinato di tali due previsioni sembra quindi corretto desumere che se il cessionario che ha utilizzato fatture per operazioni inesistenti era consapevole della violazione, allora la sanzione diventa quella maggiorata del 70 per cento, mentre se non lo era resta la sanzione ridotta del 5 per cento dell’imponibile. Ma una simile disciplina contrasta anch’essa con il pacifico orientamento della Corte Ue che ha in più occasioni affermato che non è conforme alla normativa UE un sistema di responsabilità oggettiva del soggetto passivo (sent. 1.12.2022, C- 512/21). È vero che le pronunce in questione sono essenzialmente orientate alla valorizzazione del principio di neutralità dell’Iva, che nel caso in esame non rileverebbe, considerato che non viene messa in discussione la detrazione dell’imposta, ma nelle stesse si richiama anche il principio di proporzionalità, che investe la materia sanzionatoria.
Non rimane che sperare in interpretazioni “illuminate” dei giudici tributari, sebbene la giurisprudenza di vertice non dimostra per le pronunce sovranazionali garantiste la medesima sensibilità manifestata per quelle restrittive (si pensi alla questione del divieto di detrazione dell’Iva indebitamente applicata, da un lato, e ai parametri di diligenza per dimostrare la buona fede del soggetto coinvolto in operazioni soggettivamente inesistenti, dall’altro).