Capita spesso, nelle realtà aziendali, di formulare una proposta di assunzione.
È la fase che precede il contratto, quel momento in cui tutto sembra definito ma in realtà nulla è ancora vincolante.
Da un lato, il candidato riceve un documento che cristallizza nero su bianco condizioni, trattamento economico, mansione e decorrenza.
Dall’altro, l’impresa ha la necessità di dare un segnale di concretezza, soprattutto quando la selezione è stata lunga o quando il lavoratore deve dimettersi dal precedente impiego.
La zona grigia del diritto e della prassi
È proprio in questa terra di mezzo – tra la proposta e il contratto – che si annidano molti problemi pratici.
La “lettera di assunzione” o “proposta di assunzione” è un atto unilaterale, una manifestazione di volontà che diventa vincolante solo se e quando l’altra parte la accetta (articolo 1326 c.c.).
Nel frattempo, l’azienda resta esposta a un rischio spesso ignorato: quello di un silenzio prolungato del candidato o, peggio, di un rifiuto tardivo quando ormai la necessità organizzativa è cambiata.
Un documento troppo spesso sottovalutato
Molte imprese considerano la proposta una semplice formalità, un foglio per “bloccare” la persona scelta.
Ma se redatta con leggerezza, può produrre effetti indesiderati.
È a tutti gli effetti una proposta contrattuale: se accettata, vincola le parti; se priva di un termine di validità, lascia il datore sospeso in un limbo giuridico e operativo, senza possibilità di pianificazione.
La scadenza: una tutela per entrambi
Stabilire un termine chiaro per l’accettazione non è un dettaglio formale, ma una tutela reciproca.
Per l’azienda significa evitare che, dopo settimane, un candidato torni a reclamare l’assunzione o pretenda un risarcimento per opportunità perdute.
Per il lavoratore, significa poter decidere senza subire pressioni indefinite.
In altre parole, serve un limite temporale esplicito:
“La presente proposta si intende valida fino al …”.
Una formula semplice che, in molti casi, previene contenziosi e incomprensioni.
Quando la chiarezza diventa cultura organizzativa
La prassi mostra il contrario: offerte accettate dopo mesi, revoche improvvise, trattative riaperte “perché sono cambiate le esigenze”.
Una dinamica che non giova a nessuno: né all’impresa, costretta a rivedere piani e budget, né al lavoratore, che percepisce instabilità ancor prima di iniziare.
Il diritto del lavoro si muove da sempre tra la tutela della parte debole e la libertà negoziale del datore.
Ma oggi, in un mercato che corre veloce e in cui i profili qualificati scarseggiano, il confine tra correttezza e opportunismo si assottiglia.
Ecco perché serve riportare anche la proposta di assunzione dentro una cornice di responsabilità.
Non bastano le formule di stile: serve una cultura della chiarezza.
Termini certi, condizioni definite, e consapevolezza del peso giuridico di ogni parola.


