La piramide rovesciata del lavoro: perché il nostro sistema è destinato a crollare (se non agiamo ora)
di Claudio Garau
In Italia, parlare di emergenza demografica è come svegliare un sonnambulo prima che cada dalle scale: il pericolo è chiaro, imminente, eppure l'inazione regna sovrana. E i numeri, per una volta, non lasciano spazio a interpretazioni. Secondo le previsioni Istat riportate da una recente analisi dell'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), la popolazione calerà dagli attuali 59 milioni a 58,6 milioni nel 2030, fino ad arrivare a 54,8 milioni nel 2050. Un trend già in atto da oltre un decennio, che rischia di minare alle fondamenta il mercato del lavoro e, insieme, la tenuta del nostro sistema previdenziale e del Pil. L'Ufficio sottolinea che il progressivo invecchiamento della popolazione comporta costi crescenti per previdenza e sanità, gravando ancor più il bilancio pubblico.
Il declino demografico incide direttamente sulla quantità di lavoratori disponibili: a legislazione invariata, si stimano 700 mila occupati in meno già entro il 2030, e oltre 4 milioni in meno entro il 2050. Oggi, a trainare i dati sull'occupazione è ancora la generazione dei baby boomers, che continua a rimanere attiva grazie alle riforme previdenziali degli ultimi anni, tese a spostare in avanti l'età pensionabile per salvaguardare la tenuta dell'intero sistema. Ma anche questo “cuscinetto anagrafico” è destinato a esaurire i suoi effetti.
Qualche mese fa Istat segnalava che, nella fascia tra i 50 e i 64, vent'anni fa lavoravano circa 4 milioni 612mila persone, mentre oggi ben 9 milioni 165mila - praticamente il doppio. Non solo. Nel 2005 - con almeno 65 anni di età - risultavano al lavoro circa 334mila persone, contro gli 827mila dello scorso gennaio. E con la stretta sul pensionamento anticipato e la maggiore partecipazione al mercato del lavoro delle donne, il tasso di occupazione fascia 50-64 anni - rileva l'istituto nazionale di statistica - in due decenni è passato dal 43,2 per cento al 66,1 per cento, per quasi 23 punti percentuali in più.
Il paradosso è che proprio le riforme previdenziali, che hanno allungato la permanenza nel mercato del lavoro - a partire dalla chiacchieratissima legge Fornero - oggi ci danno l'illusione di una forza lavoro stabile. Ma l'effetto è transitorio, quasi beffardo. Dal 2012 si è progressivamente alzata l'età per la pensione di vecchiaia, che oggi è fissata a 67 anni (con almeno 20 anni di contributi), e sono stati ridotti i margini per l'accesso alle pensioni anticipate. Ciò ha spinto milioni di lavoratori a restare di più al lavoro, spesso in condizioni fisiche o psicologiche non ottimali.
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