La nuova stretta sulle compensazioni del Ddl bilancio 2026 è una questione di contropartita
di Stefano Ricca
Proviamo a capire cosa prevedono le nuove misure di contrasto alle indebite compensazioni contenute nella bozza del Ddl Bilancio 2026. Si interviene su due fronti: da un lato, viene modificato l’articolo 4-bis del decreto-legge 39/2024 (quello sul contrasto alle indebite compensazioni), dall’altro viene abbassata da 100.000 a 50.000 euro la soglia prevista dall’articolo 37, comma 49-quinquies, del decreto-legge 223/2006.
Ma andiamo con ordine, perché le modifiche sono più articolate di quanto sembri.
La bozza riscrive completamente il comma 1 dell’articolo 4-bis del decreto-legge 39/2024. La nuova formulazione prevede che i crediti d’imposta diversi da quelli emergenti dalla liquidazione delle imposte non possano essere utilizzati in compensazione per pagare i debiti contributivi previdenziali e assistenziali e i premi assicurativi obbligatori (quelli indicati all’articolo 17, comma 2, lettere e), f) e g) del decreto legislativo 241/1997).
Questo divieto vale per tutti i crediti, compresi quelli trasferiti ad altri soggetti. È un vincolo aggiuntivo e distinto rispetto al blocco per superamento della soglia di cui parleremo tra poco.
Non solo. La bozza cambia anche la rubrica dell’articolo 4-bis, che diventa “Misure di razionalizzazione e coordinamento delle agevolazioni fiscali”. Un cambio di etichetta che dice molto sulla ratio della norma: non si tratta più solo di contrasto alle frodi, ma di riorganizzare l’intero sistema delle compensazioni.
Qui arriviamo al cuore della questione. Dal primo luglio 2026, chi ha carichi affidati alla riscossione superiori a 50.000 euro non potrà più utilizzare i propri crediti d’imposta in compensazione per pagare altri debiti fiscali attraverso il modello F24.
La soglia attuale è di 100.000 euro ed è operativa dal primo luglio 2024. Con la riduzione a 50.000 euro, la platea dei contribuenti colpiti dal divieto si allarga considerevolmente. Non parliamo più solo di situazioni debitorie eclatanti, ma anche di piccole e medie imprese, professionisti, artigiani che negli anni hanno accumulato debiti fiscali per difficoltà economiche, crisi di liquidità, magari anche per la pandemia.
Il meccanismo è semplice: se superi la soglia, il tuo F24 con la compensazione viene scartato. In pratica, se hai debiti sopra soglia con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione, i tuoi crediti d’imposta restano bloccati finché non sistemi la situazione.
Ma attenzione: c’è un’eccezione importante che va chiarita, perché la circolare 16/E del 2024 dell’Agenzia delle Entrate ha precisato un punto fondamentale. Il divieto di compensazione non opera per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.
In altre parole: se hai aderito a una rottamazione o a una rateizzazione ordinaria e stai pagando regolarmente, quei carichi non concorrono a formare la soglia. Questo vale anche per le definizioni agevolate in corso e non decadute.
È un dettaglio cruciale. Significa che, se hai 80.000 euro di ruoli, ma 40.000 sono coperti da una rateazione regolare, ai fini del calcolo della soglia conteranno solo i restanti 40.000 euro. E quindi, con la nuova soglia a 50.000 euro, non scatterà il divieto di compensazione.
L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che perché gli importi rilevino ai fini della soglia devono ricorrere queste condizioni: scadenza dei termini, assenza di sospensioni e assenza di piani di rateazione in corso. Se anche solo una di queste condizioni viene meno, l’importo non conta.
Questa modifica si inserisce in un quadro normativo che negli ultimi anni si è fatto sempre più rigido sul fronte delle compensazioni. Il decreto-legge 39/2024 aveva già introdotto misure stringenti per contrastare l’uso fraudolento dei crediti d’imposta, un fenomeno che secondo le stime dell’Agenzia delle Entrate costa allo Stato miliardi di euro ogni anno.
La circolare 16/E del 2024 aveva tracciato le linee guida per l’applicazione delle nuove regole, specificando che il divieto si applica quando i carichi affidati alla riscossione superano la soglia prevista, salvo le eccezioni che abbiamo visto.
Ora, con la bozza di legge di bilancio 2026, si aggiunge un ulteriore giro di vite: da un lato si restringe la platea dei crediti compensabili (vietando di usare i crediti d’imposta per pagare contributi e premi assicurativi), dall’altro si abbassa la soglia oltre la quale scatta il blocco totale delle compensazioni.
C’è sempre un prezzo da pagare. Quando lo Stato ti concede una via d’uscita con una mano, con l’altra ti stringe il cappio. È quello che sta succedendo: mentre prepara l’ennesima rottamazione quinquies, il Governo abbassa drasticamente la soglia del divieto di compensazione.
Non è un caso. È matematica politica.
Funziona così: ti dicono che arriva la rottamazione, che potrai sistemare i tuoi debiti con l’Agenzia delle Entrate-Riscossione in comode rate, magari con qualche stralcio di sanzioni e interessi. Ti sembra una boccata d’ossigeno, finalmente una soluzione.
Poi però, quasi in sordina, ti abbassano la soglia del divieto di compensazione. Prima potevi avere fino a 100.000 euro di ruoli in piedi e comunque utilizzare i tuoi crediti fiscali. Adesso, dal primo luglio 2026, basteranno 50.000 euro di carichi pendenti per bloccarti tutto.
Il messaggio è chiaro: hai i crediti? Benissimo. Ma prima paghi i debiti arretrati (magari aderendo alla rottamazione), poi ne parliamo.
Questa logica ha un senso se la guardiamo dalla prospettiva della crisi d’impresa. Se hai crediti d’imposta ma anche debiti arretrati, vuol dire che sei in difficoltà. E in una situazione di crisi, il principio base è: prima paghi i creditori arretrati, poi utilizzi le risorse per le nuove obbligazioni. È la stessa logica del concordato preventivo o della composizione negoziata.
Io continuo a vederla così: la rottamazione è una misura della crisi. Se hai bisogno di rottamare, vuol dire che sei in difficoltà. E se sei in difficoltà, è probabile che tu non abbia la liquidità necessaria per pagare tutto e subito.
In una procedura concorsuale seria, ti viene chiesto di dimostrare che hai i flussi di cassa per onorare il piano. Ti viene chiesto di certificare la sostenibilità dell’impegno che prendi. C’è un professionista indipendente, l’attestatore, che verifica: “Sì, questo piano è fattibile”. E c’è un tribunale che controlla che non ci siano comportamenti fraudolenti, che il debitore non abbia distratto patrimonio.
Nella rottamazione fiscale, invece, basta presentare la domanda. Nessuno verifica se puoi davvero permetterti le rate. Nessuno controlla se hai usato i soldi delle tasse per altro. E quando poi decadi, aspetti la prossima edizione.
Il Ddl Bilancio 2026 prova a introdurre un elemento di controllo indiretto: se hai debiti sopra una certa soglia, i tuoi crediti restano bloccati finché non sistemi la situazione. In teoria, è un incentivo a rientrare. Se aderisci alla rottamazione e paghi regolarmente, quei carichi non contano più ai fini della soglia e puoi tornare a utilizzare i tuoi crediti.
Da un punto di vista teorico, non fa una grinza. Se uno ha crediti fiscali e debiti fiscali, perché dovrebbe poter usare i crediti per pagare altre cose mentre lascia indietro le vecchie cartelle? Ha senso che prima chiuda con il passato, poi pensi al presente. Il problema è che questa logica funziona solo se la rottamazione funziona davvero.
Dal primo luglio 2026, quindi, chi avrà più di 50.000 euro di ruoli pendenti (esclusi quelli coperti da rateazione regolare) si troverà con i crediti bloccati. Magari avrà aderito alla rottamazione, certo. Ma dovrà trovare i soldi per pagare le rate. E se non li trova, decade, con l’impossibilità di utilizzare eventuali crediti che maturano. Quindi non resterà che aspettare la prossima rottamazione (se ci sarà).