"La macchina dell’identità" - SPECCHI DIGITALI – RACCONTI E RIFLESSIONI SULL’UMANITÀ RIFLESSA NELLE SUE MACCHINE
di Gabriele Silva
C’è un momento, in Ex Machina, in cui Ava — l’intelligenza artificiale creata da Nathan — guarda negli occhi il giovane programmatore che deve valutarla. Gli chiede: “Tu ci pensi a me?”.
Non gli chiede se funziona. Se è intelligente. Se è credibile come macchina.
Gli chiede se pensa a lei.
È un ribaltamento perfetto: la macchina che si fa domanda umana, e l’umano che si fa test.
Alex Garland costruisce un film claustrofobico, dove la tecnologia non è un campo di ricerca ma un labirinto psicologico.
Nathan, il creatore, è il genio miliardario che ha costruito Ava nel segreto di una casa-laboratorio isolata. È carismatico, brillante, imprevedibile. Ma anche manipolatore, autocompiaciuto, ossessionato dal controllo.
Caleb, il giovane dipendente che viene invitato a testare Ava, crede di essere il giudice. In realtà è la cavia.
Il test di Turing si trasforma in un esperimento emotivo, dove l’obiettivo non è capire se Ava pensa, ma se riesce a sedurre, a manipolare, a sopravvivere.
E ci riesce.
Nel mondo del lavoro contemporaneo, il carisma è diventato una forma di tecnologia.
Ci vengono chieste doti di leadership, empatia, resilienza, capacità di ispirare gli altri.
Ma quanto di tutto questo è autentico, e quanto è una costruzione algoritmica del sé?
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