La legge di Bilancio 2026 inventa la taglia minima per dividendi e plusvalenze: tanto rumore per 35 milioni di euro
di Marco Cramarossa
Con la legge di Bilancio 2026 viene riscritto l’accesso ai regimi di esclusione su dividendi e plusvalenze, introducendo una doppia soglia “dimensionale” alternativa. In prima analisi, la modifica subordina il trattamento fiscale dei dividendi e del regime PEX alle nuove soglie del 5 per cento della partecipazione oppure al valore fiscale della stessa non inferiore a 500 mila euro, più un “look-through” di gruppo con demoltiplicazione.
Infatti, le nuove disposizioni modificano, da un lato, le condizioni di esclusione dal trattamento fiscale dei dividendi percepiti dagli imprenditori e dalle società o enti residenti, disciplinato rispettivamente dagli articoli 59 e 89 del TUIR e, dall’altro, generano un effetto analogo sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di strumenti partecipativi, secondo le previsioni dell’articolo 87 del TUIR
In particolare, quanto ai dividendi, viene limitato l’accesso al regime di parziale esclusione, previsto come strumento di contrasto ai fenomeni di doppia tassazione, solo a quelli derivanti da partecipazioni, direttamente o indirettamente detenute tramite società controllate, in misura non inferiore al 5 per cento, alternativamente, di valore fiscale non inferiore a 500 mila euro. La nuova disciplina si applica alle distribuzioni dell’utile di esercizio, delle riserve e degli altri fondi, deliberate a decorrere dal 1° gennaio 2026. Per la verifica del 5 per cento occorrerà valutare non solo la quota diretta, ma anche le indirette nel gruppo, con controllo ex articolo 2359 c.c. e demoltiplicazione lungo la catena: un meccanismo tecnicamente raffinato, ma che operativamente costringerà a mappare costantemente le strutture partecipative e le eventuali variazioni infrannuali, con rischi di errori significativi soprattutto nei gruppi con sub-holding.
Come anticipato, la modifica determina effetti simmetrici rispetto alle plusvalenze derivanti dalla cessione di strumenti partecipativi. Infatti, ai fini dell’esenzione del 95 per cento della plusvalenza, non sarà più necessario solo il rispetto dei requisiti PEX previsti dall’articolo 87, comma 1, lett. a), b), c) e d) del TUIR, ma occorrerà che le plusvalenze realizzate si riferiscano anche a una partecipazione diretta nel capitale non inferiore al 5 per cento oppure a una partecipazione dal valore fiscale non inferiore a 500 mila euro. Sul punto, la formulazione della norma (che non brilla per chiarezza espositiva) distingue tra cessione di partecipazioni e cessione di strumenti/contratti “acquisiti o sottoscritti” dal 2026, con regola FIFO almeno per tali fattispecie, mentre occorreranno chiarimenti (che la relazione tecnica non fornisce) rispetto a casistiche ibride.
Inoltre, la soglia alternativa sembra “semplice” solo a chi non ha mai dovuto ricostruire il valore fiscale di una partecipazione tra conferimenti, rivalutazioni, affrancamenti e operazioni straordinarie. La norma utilizza questo criterio (alternativo alla partecipazione non inferiore al 5 per cento) come nuova chiave d’accesso al regime con tassazione ridotta, ma la sua determinazione potrebbe rivelarsi un vero campo minato.
La ritenuta agevolata dell’1,20 per cento viene legata al nuovo perimetro, richiamando la partecipazione con i requisiti dell’articolo 89, comma 2.1, del TUIR, oltre che gli strumenti finanziari di cui all’articolo 44, comma 2, lett. a), sempre che di valore fiscale non inferiore a 500 mila euro, e i contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), non relativi a stabili organizzazioni nel territorio dello Stato. In pratica, l’onere ricade sul sostituto d’imposta italiano, con il rischio concreto di una iper-ritenuta “difensiva” e conseguente valanga di istanze di rimborso, oppure, al contrario, una sotto-ritenuta e recuperi da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Gli effetti finanziari del combinato disposto della stretta sui dividendi e della modifica alla tassazione di quelli distribuiti dalle imprese italiane verso imprese estere ammontano complessivamente a circa 35 milioni di euro nel 2026 per crescere progressivamente sino a 45 milioni di euro nel 2031. Sul punto, atteso che per la qualificazione PEX sono necessari (tra gli altri requisiti) almeno dodici mesi di possesso e che, di conseguenza, la nuova normativa si riferirebbe soltanto al flusso delle nuove partecipazioni, la relazione tecnica evidenzia che in mancanza di informazioni di dettaglio non si ascrivono prudenzialmente effetti di maggior gettito alle modifiche in tema di plusvalenze. Alla fine dei conti, tirata la riga del bilancio, decisamente poca cosa rispetto alle più ambiziose previsioni iniziali, che puntavano a regime a quasi 1 miliardo di euro all’anno. Insomma, tanto rumore per nulla, con potenziali effetti dissuasivi rispetto agli investimenti domestici che potrebbero annullare (quand’anche non superare) i benefici preventivati.
La relazione tecnica sembrerebbe limitare la determinazione dell’acconto dovuto per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2025 alla sola modifica che impatta sulla diversa tassazione dei dividendi (cfr. pag. 14 della stessa), ma la norma fa chiaramente riferimento alla rideterminazione dell’acconto 2026, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, assumendo “… quale imposta del periodo precedente (ndr 2025), quella che si sarebbe determinata applicando le disposizioni di cui al comma 51”, ovvero il comma che si occupa della modifica tanto dei dividendi quanto delle plusvalenze. Un ricalcolo che non sarà una passeggiata di salute, sia in termini di verifiche che dal punto di vista finanziario.
Insomma, il controllo della demoltiplicazione e lo sguardo “look-through” delle catene partecipative, la ricostruzione del valore fiscale delle partecipazioni e le prove per ritenute cross border non sono solo elementi di verifica per “pagare di più o di meno”, sono anche elementi esegetici rispetto alla dimostrazione di aver operato correttamente, che spesso è la voce di costo più sottovalutata.


