Si è scritto spesso su Blast in merito alle tematiche inerenti le dinamiche testamentarie e successorie, sia dal punto di vista giuridico, sia da quello fiscale. In questo contesto si inserisce un’altra fattispecie correlata, più silenziosa, forse invisibile, che si consuma tra le mura domestiche degli italiani. Si tratta dell’abuso finanziario sugli anziani, una forma di sfruttamento in forte crescita, spesso perpetrata non da abili truffatori, ma dai familiari e conoscenti più stretti: i figli, i nipoti, i caregiver.
Può valere la pena, a mio giudizio, approfondire le forze motrici di questo fenomeno che in Italia rischia di trovare un terreno sempre più fertile. La combinazione tra una popolazione tra le più anziane al mondo, un sistema di tassazione sulle successioni tra i più indulgenti e una asimmetria di ricchezza giovani-anziani mai così elevata, crea effettivamente una miscela esplosiva.
La psicologia del predatore
Ma cosa spinge un familiare a commettere un atto simile? Gli esperti globali identificano due dinamiche psicologiche complementari. La prima, più nota, è l’”impazienza per l’eredità” (inheritance impatience): figli adulti che esercitano pressioni sui genitori per ottenere in anticipo risparmi, proprietà o altri beni. A questa si aggiunge un “gemello” altrettanto insidioso: la “conservazione dell’eredità” (inheritance preservation). Questo fenomeno, più sottile, si verifica quando i figli bloccano attivamente i genitori dallo spendere i propri soldi. Impediscono loro di accedere a cure mediche costose, di vendere la casa di famiglia per pagarsi l’assistenza o persino di fare un viaggio, tutto per evitare che il patrimonio ereditario venga intaccato. Il motore di entrambe le dinamiche è una profonda frattura socio-economica. Da un lato, l’aumento della longevità fa sì che l’eredità arrivi molto più tardi. Dall’altro, un crescente divario di ricchezza intergenerazionale vede le generazioni più anziane detenere un patrimonio significativo (accumulato grazie a decenni di boom, anche nel settore immobiliare e, in molti Paesi, a fondi pensione cospicui), mentre le generazioni più giovani affrontano precarietà lavorativa e un mercato immobiliare inaccessibile. Questa miscela esplosiva trasforma l’aspettativa in un distorto senso di “diritto”. I figli iniziano a percepire i beni dei genitori non come loro proprietà, ma come una risorsa che “appartiene” già alla generazione successiva. Il passo verso la manipolazione per “anticipare” o “proteggere” quel patrimonio diventa tragicamente breve.
Una crisi pericolosa e sottostimata
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che l’abuso finanziario colpisca quasi il 7 per cento degli anziani a livello globale. Avverte altresì come il fenomeno sia ampiamente sottostimato, proprio perché avviene all’interno della famiglia e le vittime non ne parlino per vergogna o paura. Con il rapido invecchiamento della popolazione mondiale, l’OMS prevede che il numero di vittime di abusi (di ogni tipo) potrebbe raggiungere i 320 milioni di persone entro il 2050. Non si tratta “solo” di soldi. È una crisi di salute pubblica. Studi internazionali pubblicati sul Journal of the American Medical Association hanno dimostrato che le vittime anziane di sfruttamento finanziario hanno un tasso di mortalità fino al 300 per cento più alto rispetto ai loro coetanei non abusati. La perdita delle risorse economiche si traduce direttamente nell’impossibilità di pagare cure mediche, assistenza, un alloggio sicuro o un’alimentazione adeguata.
Se questo è il contesto globale, l’Italia rappresenta una “tempesta perfetta”. Il nostro Paese unisce infatti la massima vulnerabilità con il massimo incentivo. Prima di tutto, la vulnerabilità demografica. L’Italia è una “superpotenza dell’invecchiamento”. Quasi un quarto della popolazione (24 per cento) ha più di 65 anni. Di questi, i dati ISTAT ci dicono che quasi 4 milioni presentano gravi limitazioni funzionali, fisiche o cognitive. Inoltre, un dato allarmante rivela che quasi l’11 per cento degli anziani dichiara di avere difficoltà concrete nella gestione delle proprie finanze. Abbiamo quindi milioni di persone che detengono una ricchezza significativa ma sono fragili nella sua gestione. Su questa fragilità si innesta l’incentivo fiscale. L’Italia è, di fatto, un “paradiso fiscale” per le successioni. Il nostro sistema prevede ad esempio per coniugi e parenti in linea retta un’aliquota bassissima (solo il 4 per cento) applicata solo sulla parte di patrimonio che eccede una franchigia altissima: 1 milione di euro per ciascun erede. Qui emerge l’incentivo “crudele”. Quando il premio ereditario è così cospicuo e quasi totalmente esentasse, la posta in gioco si alza vertiginosamente. Lo Stato è un attore quasi assente nella transazione. Nella mente dell’erede impaziente, non si tratta di “sottrarre” fondi allo Stato, ma solo di accedere prima a un patrimonio che percepisce come “già suo”. La clemenza fiscale, pensata per proteggere il risparmio delle famiglie, finisce involontariamente per armare chi quelle famiglie le distrugge dall’interno.
Le difese spuntate e la via d’uscita
Di fronte a questo rischio enorme, gli strumenti legali di cui disponiamo sono spesso spuntati, in particolare perlopiù reattivi. Il principale strumento penale è la circonvenzione di persone incapaci (articolo 643 c.p.). Sebbene fondamentale, è uno strumento reattivo: interviene quasi sempre a danno avvenuto, quando i soldi sono spariti o il testamento è già stato modificato. Dimostrare lo stato di “deficienza psichica” (che non significa incapacità legale, ma anche solo fragilità emotiva) e l’induzione è estremamente complesso. Sul fronte preventivo, dal 2004 esiste l’Amministratore di Sostegno (AdS), una figura flessibile nominata da un giudice per affiancare la persona fragile. È uno strumento potente, ma la sua efficacia dipende da un’attivazione tempestiva (spesso ritardata) e si scontra con la resistenza dell’anziano stesso. Inoltre, l’analisi internazionale conferma che proprio gli strumenti basati sulla fiducia, come le procure (l’equivalente del nostro AdS o della procura generale), sono i veicoli principali usati per commettere l’abuso. Non basta la repressione. Servono riforme preventive e sistemiche. A livello internazionale, alcuni Paesi hanno introdotto obblighi legali per le autorità locali di indagare sui sospetti di abuso. Altrove, si punta sulla formazione obbligatoria del personale bancario per riconoscere i segnali di sfruttamento. La strada maestra è una risposta coordinata che coinvolga istituzioni finanziarie, servizi sociali e sistema legale. L’Italia dovrebbe trarre ispirazione da questi modelli, in particolare su un fronte: responsabilizzare le istituzioni finanziarie. Oggi un impiegato di banca che nota prelievi sospetti dal conto di un anziano cliente non può certamente intervenire autonomamente né deve effettuare segnalazioni interne a meno che non si ricada nell’antiriciclaggio. È necessario creare un “porto sicuro” (safe harbor) legale che consenta e obblighi le banche a segnalare operazioni sospette a un’autorità competente, senza timore di ritorsioni legali.
Una riflessione quindi che si interseca con le numerose discussioni in ambito fiscale e giuridico sul tema sempre attuale del passaggio generazionale. Come è evidente, la miscela di fattori che, soprattutto nel nostro Paese, si fanno ogni anno più gravosi, dovrebbe portare ad una decisa emersione del fenomeno dell’abuso finanziario sugli anziani. Non ci si può limitare a derubricarlo a notizie spot su qualche quotidiano di provincia.


