La discutibile estensione agli amministratori di società dell’obbligo di adozione di un domicilio digitale
di Giacomo Monti
La legge di Bilancio 2025 (articolo 1, comma 860, della legge 207/2024) ha esteso a tutti gli amministratori di società l’obbligo di comunicare, presso il competente registro imprese, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata.
Si ricorda che l’articolo 16, comma 6, del Dl 185/2008, aveva introdotto - in un’ottica di riduzione dei costi amministrativi a carico delle imprese - l’obbligo per quelle costituite in forma societaria di indicare, nella domanda di iscrizione al registro imprese, il proprio domicilio digitale. Allo stesso tempo, la norma assegnava un termine di tre anni, decorrente dalla data di entrata in vigore dello stesso Dl 185/2008, entro il quale, anche le società già costituite alla medesima data, dovevano comunicare il proprio indirizzo PEC. Il successivo comma 6 bis del medesimo articolo 16 disponeva - per le imprese neocostituite che non avessero ottemperato a tale obbligo - la sospensione della relativa pratica di iscrizione, in luogo dell’applicazione della sanzione amministrativa di cui all’articolo 2630 del Codice civile.
Successivamente, al fine di superare le problematiche burocratiche e semplificare il processo di digitalizzazione delle comunicazioni tra la pubblica amministrazione e le imprese, l’articolo 5 del Dl 179/2012 ha esteso l’obbligo di comunicazione dell’indirizzo PEC anche a imprese individuali e a consorzi tra imprese.
Come spesso accade in Italia, l’assenza di una sanzione amministrativa, aveva di fatto portato molti soggetti a non rispettare l’obbligo normativo. Ecco perché, con l’articolo 37 del Dl 76/2020, oltre a fissare un termine specifico - 1° ottobre 2020 - entro il quale le società e imprese individuali di “vecchia” costituzione, rimaste inottemperanti all’obbligo normativo, dovevano comunicare il proprio indirizzo PEC, è stata stabilita l’applicabilità della sanzione amministrativa fissata dall’articolo. 2630 del Codice civile (da euro 103 a euro 1.032), a carico di ciascun soggetto tenuto per legge alla presentazione della comunicazione.
L’obbligo di legge aveva il chiaro obiettivo di semplificare il processo di digitalizzazione delle comunicazioni tra le imprese e la pubblica amministrazione. Non risulta invece altrettanto chiaro, ad avviso di chi scrive, il motivo che ha indotto il legislatore a introdurre il nuovo obbligo previsto dall’articolo 1, comma 860, della legge di Bilancio 2025. Tramite la norma in questione, viene integrato, nella parte finale, il primo comma dell’articolo 5 del Dl 179/2012, ai sensi del quale “L’obbligo di cui all’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, (…), è esteso alle imprese individuali che presentano domanda di prima iscrizione al registro delle imprese o all'albo delle imprese artigiane successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto nonché agli amministratori di imprese costituite in forma societaria”.
Fin da subito è sorto il dubbio se tale obbligo si applicasse o meno solo alle società costituite a partire dal 1° gennaio 2025, e se ciascun amministratore potesse o meno indicare, quale proprio domicilio digitale, lo stesso indirizzo PEC della società.
A fronte di posizioni divergenti di diverse Camere di Commercio, Unioncamere aveva a gennaio indicato che l’obbligo si potesse ritenere applicabile alle nuove società costituitesi dal 1° gennaio 2025 e che fosse accettabile l’indicazione, da parte degli amministratori, del medesimo domicilio digitale della società. Contrariamente alle previsioni, invece, il MIMIT, con nota n. 43836 del 12 marzo 2025, ha adottato una interpretazione del tutto contraria e restrittiva, in particolare:
· ha affermato che il nuovo obbligo trova applicazione anche con riguardo alle imprese costituitesi prima del 1° gennaio 2025;
· ha ritenuto inammissibile l’indicazione, da parte degli amministratori, dello stesso indirizzo PEC della società;
· in caso di omessa indicazione, ritiene applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 2630 del Codice civile;
· infine, nonostante la norma non dettasse una specifica tempistica attuativa, per le imprese già esistenti al 1° gennaio 2025, ha fissato il termine di esecuzione dell’adempimento al 30 giugno 2025.
Ad avviso di chi scrive, le linee guida del MIMIT, anziché semplificare gli adempimenti amministrativi, rischiano di generare complicazioni pratiche e operative. Un effetto prevedibile è l’aumento esponenziale - e per certi versi ingiustificato - delle attivazioni di indirizzi di posta certificata. Inoltre, l’invio, sulla PEC dei soli amministratori, di provvedimenti amministrativi indirizzati alla società, potrebbe far sorgere per quest’ultima problemi non banali; si pensi, ad esempio, alla situazione in cui non vi sia un costante monitoraggio della casella PEC da parte degli amministratori. Va anche ricordato che il verbale di nomina di un nuovo organo amministrativo va depositato, per legge, entro 30 giorni dalla data dell’assemblea. Può dunque verificarsi che, nel corso di questi 30 giorni, l’Agenzia delle Entrate notifichi un provvedimento amministrativo sulla PEC di un amministratore cessato, il quale - proprio in ragione della decadenza del suo mandato - potrebbe non controllare tempestivamente la propria casella di posta certificata.
Si auspica, quindi, una riconsiderazione da parte del MIMIT dell’orientamento assunto, così da permettere quanto meno agli amministratori di comunicare il medesimo indirizzo PEC della società; questo consentirebbe di monitorare, in maniera univoca, tutti gli atti e provvedimenti indirizzati tanto alla società quanto direttamente al proprio organo amministrativo, garantendo maggiore coerenza ed efficienza al sistema delle comunicazioni digitali.