Il tema della soggettività fiscale del trust continua a generare attriti tra Agenzia delle entrate e i contribuenti. Nel corso degli anni, vari documenti di prassi hanno alimentato l’idea che il trust possa prestarsi ad essere uno strumento di evasione fiscale, spesso richiamando l’istituto dell’interposizione fittizia. Tuttavia, tale interpretazione sembra derivare da alcuni errori di fondo nell’inquadrare il ruolo effettivo del trustee e del trust.
La genesi del principale fraintendimento dell'interposizione fittizia
Le origini di questa lettura forzata risalgono al periodo dello “scudo fiscale” del 2009, quando si cercò di attrarre a tassazione i patrimoni detenuti all’estero tramite trust, ipotizzando che la reale disponibilità delle somme fosse riconducibile a disponenti o beneficiari italiani. In quell’occasione, concetti propri del diritto valutario, come la “disponibilità” dei fondi, furono inopportunamente traslati nell’ambito delle imposte dirette assimilandoli al "possesso".
Questa impostazione, basata sulla lettura dell'atto di trust ed il conseguente possibile richiamo all’interposizione fittizia disciplinata dall’articolo 37 del Dpr 600/1973, si pone in contrasto con la norma sulla soggettività tributaria del trust prevista dall’articolo 73 del Tuir.
La questione della revocabilità e la figura del trustee
Peraltro, la recente risposta all’interpello n. 258/2024 mostra un certo perseverare dell'Agenzia delle entrate su questa linea, interpretando la presenza di poteri di revoca del trust o di obblighi di rendiconto del trustee nei confronti del beneficiario come possibili indizi di interposizione. In realtà, la revocabilità dell’atto e l’obbligo di rendiconto non riguardano la titolarità dei beni, ma solo il funzionamento interno del trust. La possibilità di nominare o revocare il trustee, da parte del guardiano o del disponente, non implica necessariamente che i redditi siano riferibili a soggetti diversi dal trust stesso. Il discorso della accettabilità della soggettività tributaria del trust revocabile potrebbe farsi con buoni motivi, ma è pragmaticamente prematuro da affrontare con l’Agenzia. Mentre il ritenere interposto un trust che prevede l'obbligo di rendiconto al beneficiario, è da ritenersi completamente privo di motivazione e difficile da giustificare.
Il problema del confronto con altri soggetti IRES
Ci si potrebbe domandare perché l’Agenzia non applica criteri interpretativi analoghi alle società di capitali. Sebbene il socio unico possa nominare e revocare l’amministratore o porre in liquidazione la società, non esiste alcun caso in cui i redditi di una Srl siano imputati direttamente al socio in virtù di tali poteri. Questa palese asimmetria di trattamento alimenta il dubbio che, intorno al trust, sussista una sorta di pigro “pregiudizio simulatorio”, perdendo ogni prospettiva sulla legittimità e meritevolezza della sovversione di interessi voluta dal disponente il quale sacrifica i propri diritti a tutela degli interessi del patrimonio, della governance sui beni o le aziende in trust e dei beneficiari.
Quando il trust non è un trust
Un altro elemento di confusione che porta a censurare il ragionamento dell’Agenzia delle entrate riguarda la natura stessa dell’atto istitutivo: se il trustee non ha autentica autonomia nella gestione dei beni perchè il disponente non vuole un trustee autonomo e se ogni sua decisione è vincolata dalla volontà del disponente o del beneficiario, non si è in presenza di un vero trust, bensì di un mandato. L’interposizione fittizia, anche in questo caso, non è inerente per definizione.
Rischi e conseguenze
L’insistenza nel richiamare l’articolo 37 del Dpr 600/1973 può condurre a interpretazioni forzate, con conseguenze onerose. Le contestazioni di interposizione fittizia possono tradursi in rettifiche di dichiarazioni dei redditi, sanzioni amministrative e, nei casi più gravi, responsabilità penali. Inoltre, l’incertezza interpretativa nuoce alla fiducia nel trust come strumento di pianificazione patrimoniale, disincentivando l’uso di un istituto che, in molte giurisdizioni, rappresenta un pilastro di tutela e gestione del patrimonio e di tutela di soggetti deboli.
Conclusioni
Nonostante le richiamate incongruenze circa le conclusioni cui giunge l'Agenzia delle entrate, la stessa non sembra voler cambiare rotta da questa modalità interpretativa, ma anzi ne vorrebbe estendere l’applicazione anche al di fuori del mondo delle imposte dirette. Infatti, nel 2022, con la circolare n.34 l’Agenzia delle entrate è stato precisato che nel caso di decesso del disponente di un trust che, secondo i malaugurati parametri del 2009, risultasse interposto ai fini delle imposte dirette, i beni in trust dovrebbero essere inclusi nell’attivo ereditario degli eredi del disponente, con conseguenze paradossali.