La crudeltà e le attenuanti generiche negate a Filippo Turetta: una sentenza importante
di Francesca Negri
Nonostante il clamore mediatico e l’indignazione suscitati da ogni nuovo caso, i femminicidi non si fermano. E proprio negli stessi giorni in cui venivano uccise altre due donne (Sara Campanella, da un compagno di Università, e Ilaria Sula, dall’ex fidanzato) sono state pubblicate le motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, per l’omicidio di Giulia Cecchettin, un delitto commesso nel 2023 e diventato emblematico.
Nella sentenza, i Giudici della Corte d’Assise di Venezia hanno escluso l’aggravante dell’aver agito con crudeltà. Lo hanno fatto utilizzando un’argomentazione che ha scatenato accesi dibattiti.
I giudici, infatti, hanno scritto che 75 coltellate (cioè quelle inferte dall’imputato alla vittima) non sono state “un modo per crudelmente infierire o far scempio della vittima”. Turetta, infatti, ha aggredito Giulia Cecchettin “con una serie di colpi ravvicinati, portati in rapida sequenza e con estrema rapidità, quasi alla cieca”. E tale dinamica non sembra sia stata dettata “da una deliberata scelta dell’imputato ma essa sembra invece conseguenza della inesperienza e della inabilità dello stesso”. La sede delle lesioni, dicono poi i Giudici, “non risulta indicativa di un ulteriore determinismo volitivo, posto che esse appaiono frutto di azione concitata, legata all’urgenza di portare a termine l’omicidio”.
Non vi è la prova, quindi, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’imputato avesse “la volontà di apportare sofferenze eccedenti rispetto a quelle direttamente connesse alla consumazione dell’omicidio”, e neanche la durata dell’aggressione (circa venti minuti) può dirsi sufficiente a dimostrare il contrario.
Se, da un lato, può apparire comprensibile lo stupore della gran parte della collettività di fronte alla valutazione che 75 coltellate non sono un gesto crudele, dall’altro lato è importante considerare che il significato giuridico di “crudeltà” non coincide con quello del linguaggio comune.
Secondo l’interpretazione consolidata della Suprema Corte, infatti, la crudeltà (prevista dall’articolo 61 n. 4 del codice penale) si può ravvisare solo quando nel comportamento dell’omicida si possa individuare qualcosa in più rispetto a quanto necessario per uccidere una persona. In altre parole, occorre che chi agisce decida di provocare sofferenze aggiuntive. Né vi può essere un limite numerico (dei colpi inferti) oltre il quale l’omicidio possa dirsi aggravato dall’aver agito con crudeltà, perché è sempre necessario esaminare le modalità complessive dell’azione.
Sembra quindi che i Giudici di Venezia abbiano applicato questi principi al caso specifico, illustrando, appunto, gli elementi concreti che hanno impedito di riconoscere la sussistenza della volontà dell’imputato di apportare sofferenze ulteriori rispetto a quelle direttamente collegate alla consumazione dell’omicidio.
Vedremo se queste argomentazioni saranno confermate dai giudici dei gradi di giudizio successivi, ma per il momento mi pare importante riportare l’attenzione su un altro punto della sentenza, che a mio avviso è passato in secondo piano a causa delle polemiche sulla mancata concessione della circostanza aggravante della crudeltà, e che invece afferma un principio significativo.
La sentenza ha escluso l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche all’imputato. Oltre al mancato riconoscimento di qualsiasi diminuzione della pena, è rilevante la motivazione con la quale i giudici hanno compiuto questa scelta: le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute “alla luce dell’efferatezza dell’azione, della risolutezza del gesto compiuto e degli abietti motivi di arcaica sopraffazione che tale gesto hanno generato: motivi vili e spregevoli, dettati da intolleranza per la libertà di autodeterminazione della giovane donna, di cui l’imputato non accettava l’autonomia delle anche più banali scelte di vita”.
In sintesi, con questa motivazione, che non fa ricorso a concetti “deresponsabilizzanti” come quelli di raptus, gelosia, rabbia, provocazione, delusione, o altro, viene invece affermata l’importanza e la centralità della libertà di autodeterminazione femminile, effetto di una evoluzione della cultura rispetto a un’idea arcaica di relazione fra i sessi basata sulla prevaricazione dell’uomo sulla donna.
E queste sono affermazioni che dovremmo tutti accogliere come un concreto e positivo contributo verso una maggiore consapevolezza dei ruoli e delle responsabilità.
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