La Cassazione avvisa i “naviganti”: usare i social con moderazione
di Lorenzo Romano
Commenti e immagini postati su Facebook possono assumere valore confessorio ed essere utilizzati dalla pubblica accusa per dimostrare la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11 del Dlgs 74 del 10 marzo 2000).
È quello che ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza 8259 depositata il 28 febbraio 2025, confermando la condanna di marito e moglie emessa dal Tribunale di Torino, avallata dalla Corte di appello sabauda.
Nello specifico, gli imputati promuovevano, dapprima, un procedimento di separazione personale presso il Tribunale, in realtà continuando a convivere more uxorio, prevedendo, tra le condizioni della separazione, l’impegno del marito a trasferire alla moglie la quota del 100% di un immobile, a titolo di contributo una tantum al mantenimento a favore della stessa; successivamente ricorrevano per ottenere la pronuncia dello scioglimento del matrimonio, in realtà continuando a convivere more uxorio. In più intestavano un’autovettura Porsche Cayenne alla madre dell’imputata – essendo l’autovettura in realtà di proprietà del genero. Questi, infine, corrispondeva in contanti una somma nell’ambito della compravendita di un’altra autovettura, acquistata a nome della moglie.
Tutto ciò a fronte di un debito erariale di quasi 500.000 euro sorto poco prima, in virtù della notifica di un avviso di accertamento.
La Procura ha avuto gioco facile nel rinvenire su Facebook una serie di elementi atti a comprovare la natura fraudolenta della separazione e del successivo divorzio, nonché degli atti dispositivi.
Così, per dimostrare la persistenza della comunione di vita e di interessi (evidentemente incompatibili con l’intervenuto accordo di separazione), sono stati correttamente ritenuti particolarmente significativi sia un post pubblicato dal marito, con il quale, dopo aver definito “ex moglie” la persona ritratta in foto, ha precisato nei commenti che si trattava ancora della sua compagna, sia quelli attestanti viaggi comuni a Parigi, a Venezia ed all’estero, nonché il costante mantenimento di comuni relazioni amicali e familiari (dimostrato, fra gli altri, dal commento «bella cognatina» postato dalla sorella dell’imputato sotto una foto ritraente il fratello e la moglie insieme: commento ritenuto coerente con il persistere dell’unione tra gli imputati).
Va però precisato che la Procura si era avvalsa anche di servizi di appostamento effettuati dalla Polizia Giudiziaria – operante presso l’abitazione della moglie, nonché presso l’abitazione ove l’imputato aveva formalmente trasferito la sua residenza – da cui è emerso con evidenza come il marito frequentasse assiduamente, anche durante le ore notturne, la prima abitazione, formalmente di proprietà della (ex) moglie, e come costui, all’opposto, non avesse mai dimorato nel secondo immobile.
La Suprema Corte ha richiamato un costante orientamento giurisprudenziale per cui, «ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 74 del 10 marzo 2000, gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei ad eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa, la procedura di riscossione coattiva».
Va qui colta l’occasione per rammentare che il fisco può agire (in sede civile) con l’azione revocatoria o con l’azione di simulazione, azioni giudiziarie volte a rendere inefficace la separazione simulata.
Infatti, l’esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti del trasferimento immobiliare operato in sede di separazione consensuale è costantemente riconosciuta dalla giurisprudenza, sul presupposto che l’accordo integra comunque un atto negoziale, frutto di libera determinazione dei coniugi, rispetto al quale il provvedimento di omologazione è mera condizione sospensiva di efficacia: l’azione va quindi a colpire non la separazione in sé, ma solamente la disposizione lesiva delle aspettative dei creditori, a nulla rilevando che essa sia considerata inscindibile rispetto al complesso delle altre condizioni dell’accordo di separazione (in tal senso, Cass. n. 8516/2006).
Da ultimo, la Corte di Cassazione (con la sentenza n. 26127 del 7/10/2024) ha esteso la possibilità di ottenere la revoca dei trasferimenti patrimoniali pregiudizievoli anche a quelli contenuti in accordi assunti nell’ambito di una separazione giudiziale e recepiti nella sentenza che ne abbia definito il procedimento, a seguito della rassegnazione di conclusioni congiunte da parte dei coniugi, «anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza che lo ha recepito, spiegando quest’ultima efficacia meramente dichiarativa, come tale non incidente sulla natura di atto contrattuale privato del suddetto accordo».
Analogamente, anche la costituzione di un fondo patrimoniale in concomitanza con accertamenti fiscali può essere considerata simulata.