L’ editoriale - L’IA corre, il diritto arranca: la “distanza di frustrazione” del Nobel Geoffrey Hinton
di Marco Cramarossa
Geoffrey Hinton non è un influencer di Silicon Valley che si diverte a fare previsioni apocalittiche per far salire le proprie visualizzazioni. È il Premio Nobel per la fisica 2024. È il Giove dell’intelligenza artificiale, colui che, insieme a pochi altri (peraltro tutti suoi allievi e discepoli), ha messo in moto la macchina che oggi chiamiamo IA generativa. Senza le sue scoperte sulle reti neurali, ChatGPT resterebbe un sogno nerd scritto su un tovagliolo di carta, e noi continueremmo a pensare che “bot” sia un drink a base di vodka. Ed è proprio lui, il “padre” del deep learning, a dirci che tra vent’anni saremo forse tutti sostituiti da esseri digitali superintelligenti. Non si tratta di fantascienza. Hinton lo dice con la pacatezza di chi parla di pioggia in arrivo, non di apocalisse. La sua è una distopia consapevole e sobria, ma non per questo meno spaventosa.
La recentissima intervista rilasciata a un blasonato quotidiano italiano ha il merito di toccare i nervi scoperti di questo dibattito: la nostra specie, per la prima volta nella storia, sta creando entità che possono essere più intelligenti di noi. Non più solo macchine più forti, veloci, precise, ma veri e propri cervelli digitali, capaci di apprendere, evolvere e, potenzialmente, competere. Il professore lo dice senza giri di parole, perché se ci sarà mai una competizione evolutiva tra intelligenze artificiali, la specie umana diventerà solo un ricordo del passato. Che è un modo elegante per dire che i nostri pronipoti rischiano di diventare materiale da museo di storia naturale.
Ma il punto non è il futuro remoto. Infatti, Hinton sposta l’attenzione sui rischi presenti, quelli che già mordono la nostra quotidianità. Disoccupazione di massa, manipolazione delle democrazie, cyber-attacchi chirurgici, creazione di virus letali in modalità “fai da te”. Tutto questo non è domani, è oggi. E mentre il professore lancia l’allarme, i governi arrancano. Non hanno abbastanza competenze interne, si affidano a consulenti che provengono - indovinate un po’? - proprio dalle Big Tech. È come chiedere al lupo di redigere il regolamento per l’accesso all’ovile.
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