L’ Editoriale - Il fruscio del vinile: riscoprire l’Uomo nell’era dell’algoritmo
di Marco Cramarossa
Forse anche l’intelligenza artificiale, oggi al centro di un’attenzione che ha il sapore dell’epifania, attraverserà un giorno la sua inevitabile parabola discendente. Non è detto che questo sarà un male: ogni innovazione radicale nella storia ha conosciuto una fase di innamoramento collettivo, una sorta di luna di miele tecnologica, seguita da un periodo di disincanto e di riposizionamento. È già successo con i supporti musicali: il vinile, soppiantato dai CD, poi dai lettori MP3, è tornato oggi in auge, carico di un fascino che non è soltanto nostalgia, ma il desiderio di un’esperienza più “calda”, più tangibile, più imperfetta e quindi più umana. È successo con la fotografia: la pellicola, data per morta dall’avvento del digitale, ha visto rinascere un culto dell’analogico, dei tempi di posa lunghi, del rumore della leva di carica, del grano che diventa scelta estetica.
L’intelligenza artificiale vive ora la sua stagione del “tutto e subito”. È presente in ogni discussione, viene chiamata a risolvere problemi enormi e minuti, a scrivere poesie, a generare immagini, a guidare decisioni di politica economica e di marketing. A volte sembra che l’umanità intera sia affascinata dalla possibilità di delegare una parte di sé – la più faticosa, quella che richiede attenzione, dedizione, studio – a un’entità che non dorme mai, che non ha emozioni ma sa simularle, che non si annoia. È un’illusione seducente che prende posto imperiosamente nella società del prompt: basta digitare una domanda e una voce – quella dell’IA – restituisce una risposta articolata, coerente, spesso convincente. Ma la convinzione non è sempre verità. E, come ogni fascinazione, anche questa ha un prezzo: il rischio che l’uomo si disabitui allo sforzo, che smetta di cercare dentro di sé le risorse cognitive e creative che lo hanno sempre distinto da ogni altro essere vivente.
Eppure, l’IA è una “creatura” ambivalente, progettata per servire, per assistere, per rendere più agevoli i compiti: dalla scrittura di un articolo alla stesura di una perizia, dalla sintesi di un testo legislativo al commento di una sentenza, fino alla creazione di racconti o poesie. Ma se diventasse l’unica voce, se le decisioni venissero prese fidandosi solo della statistica e della stocastica dei fenomeni, se la fantasia fosse sostituita dalla mera capacità combinatoria, si rischierebbe di appiattire la complessità umana in una media ponderata di contenuti déjà vu. L’IA potrebbe diventare, paradossalmente, esattamente il contrario di quella creatività che in essa l’uomo oggi ricerca: un grande specchio che riflette il passato, ma fatica a generare il futuro.
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