La sentenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo del 6 febbraio 2025, Italgomme pneumatici s.r.l. e altri c. Italia, apre sicuramente interessanti prospettive al dibattito sui temi fiscali. Forse più sul piano sistematico che non su quello operativo, anche se non si possono escludere conseguenze anche su quest’ultimo.
Con la sentenza in oggetto, la Corte EDU ha sostanzialmente condannato l’Italia con riguardo al regime delle autorizzazioni agli accessi e alle verifiche fiscali, in luoghi diversi dall’abitazione privata, quale risulta dalla L 14 gennaio 1929, n. 4 (per gli accessi della Guardia di Finanza) e dall’articolo 52 del Dpr n.633/1972 (per gli accesi dell’Agenzia delle Entrate).
Ad avviso della Corte, infatti, detto regime si pone in conflitto con l’articolo 8 della Convenzione («1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui»), segnatamente laddove i poteri di autorizzazione risultano eccessivamente discrezionali (circa l’ampiezza dei poteri esperibili, le ragioni di innesco, gli anni coperti ecc.) nonché nella misura in cui non è effettivamente previsto un controllo reale ex ante o ex post, né amministrativo né giudiziale.
Il pregio della sentenza, certamente, è quello di non essersi limitata a sindacare il solo dato normativo, nella sua astrattezza, dal momento che è voluta andare a verificare come questo sia in concreto applicato dalla prassi e dalla giurisprudenza. Ed è alla stregua di una simile verifica che la Corte giunge a formulare la sua condanna. Con molti distinguo, certamente, considerando comunque che si tratta di verifiche fiscali dove, quindi, vengono in gioco esigenze affatto peculiari; non di meno, rimane una condanna senza appello. Piuttosto, ben consapevole che la sentenza aprirà la strada ad analoghe contestazioni (ricordiamo che la sentenza della Corte EDU non invalida la normativa nazionale censurata, ma impone agli Stati firmatari di intervenire ad apportare le richieste correzioni), quello che sostanzialmente diventa un monito per il Legislatore viene dettagliato con indicazioni puntuali.
La prima indicazione è nel senso che il quadro giuridico interno deve indicare chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a effettuare verifiche in loco nonché controlli fiscali sui locali commerciali e sui locali adibiti ad attività professionali. Le autorità nazionali debbono pertanto avere l'obbligo di fornire una motivazione e di giustificare la misura, alla luce di tali criteri. Debbono poi essere stabilite garanzie per evitare l'accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l'uso di documenti e oggetti non connessi con l'obiettivo della misura, fatta salva la possibilità di avviare procedimenti amministrativi separati o, del caso, procedimenti penali. Il contribuente, al più tardi al momento dell'avvio della verifica, deve avere il diritto di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e la sua portata, del suo diritto di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica. Infine, il sistema deve prevedere un controllo giurisdizionale effettivo di una misura contestata e, in particolare, un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle restrizioni riguardanti le condizioni che giustificano tale misura e la loro portata. L'esistenza e la disponibilità di tali mezzi di ricorso non debbono essere subordinate al fatto che una misura abbia portato all'emissione di un avviso di accertamento. Se un contribuente ritiene che le persone che effettuano un controllo non agiscano in conformità con la legge deve essere disponibile una qualche forma di riesame intermedio e vincolante semplificato prima che il controllo sia completato.
Indicazioni puntuali, tutte queste, di cui il legislatore dovrà dare conto in tempi anche ristretti (per evitare la reiterazione dei ricorsi alla CEDU).
Questo sul piano sistematico, ma su quello operativo? Va allora ricordato che il contrasto di una norma nazionale con la Convenzione non può essere risolto con la disapplicazione della norma nazionale, come accade con il diritto unionale. Occorre, invece, sollevare questione di costituzionalità per violazione dell’articolo 117 Costituzione (dove la Convenzione europea funge da norma interposta). È possibile invocare un’interpretazione costituzionalmente orientata e, così, evitare il rinvio alla Corte Costituzionale, solo in presenza di una giurisprudenza della Corte EDU consolidata e costante.
Ecco perché, almeno nel breve, non sembrano ipotizzabili ricadute operative della sentenza in commento.