Di recente sono stati modificati i criteri attributivi della residenza fiscale per le persone fisiche.
Detta modifica (articolo 1, DLgs. n. 90 del 2023) è nata con l’obiettivo di semplificare, dare certezza nei rapporti fisco/contribuente e rendere coerente la normativa interna con la migliore prassi internazionale.
Tuttavia, si è facili profeti nel ritenere che essa complicherà e aumenterà contenzioso ed incertezza.
Vediamo perché.
Per effetto del nuovo testo di legge si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, 184 giorni in caso di anno bisestile), considerando anche le frazioni di giorno:
- hanno la residenza, ai sensi del codice civile, nel territorio dello Stato;
- hanno il domicilio, definito come luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari della persona, nel territorio dello Stato;
- sono presenti nel territorio dello Stato;
- sono iscritte nell’anagrafe della popolazione residente (condizione, quest’ultima, che a seguito delle modifiche apportate dal decreto suindicato non riveste più carattere di “presunzione assoluta” bensì di “presunzione relativa” che ammette la prova contraria).
I suddetti requisiti sono tra loro alternativi; il verificarsi di uno soltanto di essi per la maggior parte del periodo di imposta è sufficiente ai fini della attribuzione della qualità di residente nel territorio dello Stato.
Le novità introdotte dalla novella si possono sintetizzare come segue:
- si è scissa la nozione fiscale di domicilio dall’accezione civilistica a cui era prima ricondotta;
- è stato previsto un criterio del tutto nuovo, consistente nella presenza fisica nel territorio dello Stato;
- è stata attribuita al dato formale dell’iscrizione anagrafica la valenza di presunzione relativa.
Le novità introdotte dalla novella si possono sintetizzare come segue:
- si è scissa la nozione fiscale di domicilio dall’accezione civilistica a cui era prima ricondotta;
- è stato previsto un criterio del tutto nuovo, consistente nella presenza fisica nel territorio dello Stato;
- è stata attribuita al dato formale dell’iscrizione anagrafica la valenza di presunzione relativa.
La prima delle novità introdotte riguarda il nuovo domicilio (attributivo della residenza fiscale).
Esso viene individuato nel luogo in cui si sviluppano in via principale le relazioni personali e familiari della persona.
La scelta del Legislatore è stata di separare la nozione di domicilio, valevole ai fini dell’attribuzione della residenza fiscale, dall’accezione prevista nel codice civile.
Sotto questo profilo, dunque, non rilevano più gli interessi e gli affari economico-patrimoniali, ma piuttosto ed unicamente le relazioni personali e familiari del contribuente, e solo se queste si trovano in via principale in Italia il soggetto potrà essere considerato fiscalmente residente.
Per relazioni personali cosa deve intendersi?
L’Agenzia delle Entrate, nella Circolare n. 20/E del 2024, ha riportato, a titolo esemplificativo, alcune fattispecie (si pensi ad una persona che si iscrive all’AIRE e, pur lavorando all’estero, mantiene a propria disposizione, a qualunque titolo, una casa in Italia, lasciandovi attive le relative utenze, nella quale continua a rientrare nei fine settimana e dove trascorre alcuni periodi di vacanza), salvo poi concludere che occorre effettuare “valutazioni […] caso per caso, sulla base di elementi fattuali, tenuto conto della varietà di fattispecie che possono concretamente verificarsi e della molteplicità degli elementi che, nelle differenti situazioni, possono essere presi in considerazione”.
Quelle dell’Ufficio sono evidentemente conclusioni generiche ed astratte che hanno unicamente il pregio di confermare come il criterio di collegamento del nuovo domicilio sia alquanto discutibile e soprattutto di difficile attuazione, soprattutto in quanto implica una misurazione e comparazione qualitativa (anche quantitativa?) delle relazioni personali e familiari del contribuente (non è indicata la gerarchia tra le due relazioni, né tantomeno se debba prevalere l’una o l’altra) e anche sotto tale profilo potrebbe integrare una violazione dell’articolo 53 Cost. (la difficoltà di accertamento conseguente al nuovo criterio potrebbe, infatti, ledere l’interesse alla riscossione dei tributi).
In un’ottica di cambiamento, si poteva tutt’al più disegnare il nuovo domicilio nel senso che, allorché gli interessi patrimoniali e quelli affettivi e personali non fossero riferibili ad un’unica giurisdizione, dovesse essere privilegiata la lettura che dava prevalenza agli interessi di natura personale.
Ma la lettera della nuova norma esclude del tutto la rilevanza degli affari patrimoniali.
Il che potrebbe anche comportare una riduzione dell’estensione dei soggetti fiscalmente residenti (a rigore chi vive all’estero con i propri familiari ed ha in Italia interessi esclusivamente economici in base alla nuova norma va qualificato come non residente).
Sorge allora spontanea la domanda: cui prodest?
Avere escluso qualsiasi riferimento agli interessi economici e agli affari patrimoniali appare una scelta azzardata e neppure coerente con il sistema fiscale, dal momento che la giustificazione logico-giuridica del principio di tassazione su base mondiale dovrebbe essere individuato, più che nel radicamento delle relazioni personali e familiari nel territorio dello Stato, proprio nell’appartenenza economica del consociato alla comunità.
Per superare i suindicati dubbi si potrebbe “sposare” una interpretazione conforme a Costituzione, forzando il dato letterale per ricomprendere nella locuzione “relazioni personali” anche gli affari economico-patrimoniali.
Ciò, tuttavia, determinerebbe un ritorno al passato, riproponendosi la dicotomia interessi patrimoniali/interessi affettivi.
’altra novità sulla quale è opportuno soffermarsi è quella che attiene al criterio della presenza ultra semestrale in Italia.
In base al nuovo disposto normativo è da ritenere fiscalmente residente colui che, per la maggior parte del periodo di imposta, è presente nel nostro Paese (ciò a prescindere dalla residenza e/o domicilio).
C’è innanzitutto da evidenziare che si tratta di un criterio di collegamento non codificato, il quale, oltre a prestarsi a diverse interpretazioni, potrebbe lasciare spazio ad un utilizzo distorto da parte degli Uffici accertatori (si pensi, ad esempio, alla persona fisica che trascorra in Italia la maggior parte del periodo d’imposta, anche se in modalità frazionata, per vacanza, o per motivi di studio, oppure per far visita ad amici o parenti).
Il criterio della presenza fisica, tuttavia, dovrebbe trovare un’applicazione limitata, considerando che – in caso di fenomeni di doppia imposizione – dovrebbero trovare applicazione le previsioni convenzionali, ed in particolare il criterio delle tie-breaker rules (articolo 4, par. 2, Modello di Convenzione OCSE), secondo il quale, qualora, in applicazione delle varie leggi nazionali, il soggetto risulti residente in più Stati, ai fini della individuazione della residenza occorre fare riferimento ai criteri convenzionali (le tie-breaker rules, appunto), da applicare secondo un preciso ordine di priorità, che presuppone la verifica dei criteri successivi solo se il criterio precedente non è stato in grado di individuare una sola residenza.
Tuttavia, in assenza di “copertura” convenzionale, dovrebbe applicarsi il criterio della “presenza nel territorio dello Stato”, il quale potrebbe dare luogo a conseguenze irragionevoli, ponendo anche dubbi di costituzionalità per violazione degli articoli 3 e 53 Cost..
In conclusione, la modifica normativa (diversamente da molti altri interventi strutturali e di dettaglio della riforma, del tutto condivisibili) sembra andare in direzione opposta agli obiettivi che si intendevano perseguire, di talché, anche per la rilevanza del tema, si auspica su entrambi i profili sottolineati un tempestivo melius re perpensa da parte del Legislatore.