ISA e concordato preventivo: cortocircuito dell’Agenzia per le trasformazioni societarie
di Simona Baseggio e Barbara Marini
Nel complesso equilibrio tra forma giuridica e sostanza economica, la risposta a interpello n. 109/2025 offre un nuovo spunto di riflessione sul funzionamento del concordato preventivo biennale (CPB) e sull’interpretazione delle cause di esclusione dall’applicazione degli ISA. Il caso sottoposto all’Agenzia delle Entrate, in apparenza circoscritto, sollecita in realtà considerazioni più ampie, specie nel rapporto – mai del tutto lineare – tra la disciplina degli indici sintetici di affidabilità fiscale e le operazioni straordinarie. E lascia aperti interrogativi sull’equità e la razionalità del sistema.
Il caso riguarda una società che, originariamente in forma di società in nome collettivo, ha deliberato la trasformazione in società a responsabilità limitata in data 30 novembre 2022, mantenendo la medesima partita IVA e codice ATECO. Con tale atto ha altresì stabilito di estendere la durata del primo esercizio sociale dopo la trasformazione fino al 31 dicembre 2023, risultando così un periodo d’imposta di tredici mesi. La società ha manifestato l’intenzione di aderire al CPB per il biennio 2024-2025, ritenendo di avere rispettato i requisiti richiesti, tra cui la regolare applicazione degli ISA nei periodi precedenti, compreso il 2023.
Tuttavia, la risposta dell’Agenzia è stata negativa. L’Amministrazione ritiene che la trasformazione configuri, ai fini fiscali, un vero e proprio “inizio attività”, con conseguente applicazione della causa di esclusione prevista dalla disciplina Isa (articolo 9-bis, comma 6, lettera a), del DL n. 50/2017). Dal momento che il periodo d’imposta 2023 rappresenta l’anno di riferimento per accedere al concordato preventivo biennale (2024-2025), e che in tale anno la società sarebbe stata esclusa dall’applicazione degli ISA, ne deriverebbe – a parere dell’Agenzia – l’impossibilità di beneficiare del nuovo istituto. Tale interpretazione risulterebbe in linea, sempre secondo le Entrate, anche con quanto chiarito nella circolare 18/E del 2024.
Al di là della coerenza formale, la posizione dell’Amministrazione presenta tuttavia diversi elementi di criticità. In primo luogo, è discutibile il riferimento simultaneo, operato nella risposta, alla circolare 17/E del 2019 sugli ISA e alla precedente circolare 31/E del 2007 sugli studi di settore.
Infatti, mentre la circolare del 2007 riconosceva che operazioni straordinarie come la trasformazione societaria non rappresentassero una situazione di inizio di attività in presenza di continuità economica e gestionale – recependo così le modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2007 – invece la circolare 17/E del 2019 ha espressamente incluso tra le ipotesi di inizio attività anche le operazioni straordinarie come trasformazioni, fusioni e scissioni, pur richiamando, a questo proposito, la circolare 31/E/2007 (che, come si è riportato, diceva l’esatto contrario).
Ma ancor più delicato è il nodo concernente il merito della vicenda. È davvero ragionevole trattare una trasformazione societaria – che non comporta modifiche né alla partita IVA, né al codice ATECO, né alla sostanza dell’attività esercitata – come un evento interruttivo tale da impedire l’accesso al CPB? Si tratta di una ricostruzione eccessivamente formalistica, che ignora la realtà economica e attribuisce alla modifica giuridica della forma sociale un effetto sproporzionato. Il contribuente che si trasforma, continuando l’attività nella stessa struttura e con gli stessi elementi oggettivi, viene così equiparato a chi ha avviato per la prima volta un’attività imprenditoriale. Il risultato è una penalizzazione che non trova giustificazione né nella ratio della disciplina ISA né negli obiettivi propri del concordato preventivo biennale.
La stessa Agenzia, peraltro, nella già citata circolare 18/E/2024, ha ammesso che la modifica dell’attività nel corso del biennio non determina automaticamente la cessazione del CPB, purché le attività interessate siano riconducibili al medesimo modello ISA. Ciò rende ancor più contraddittorio escludere dal concordato chi ha semplicemente mutato la forma giuridica, proseguendo la propria attività senza soluzione di continuità.
In definitiva, l’interpello n. 109/2025 si colloca nel solco di una lettura iper-formalistica dell’esclusione dagli ISA, che finisce per enfatizzare un elemento meramente procedurale.
In tale prospettiva, la rigorosa applicazione di barriere d’accesso ancorate a presupposti formalistici, che prescindono da un’effettiva valutazione della condotta sostanziale del contribuente, rischia di generare non solo un vulnus all’efficacia del sistema, ma altresì una frizione sistemica rispetto al principio di proporzionalità e alla ricerca di una sempre maggiore certezza nei rapporti tributari.
Se, come spesso si proclama, l’orizzonte della nuova amministrazione finanziaria è davvero quello del dialogo e della compliance, appare quantomeno opportuno un ripensamento critico di simili irrigidimenti esegetici, che, anziché incentivare la continuità e la coerenza dei comportamenti fiscali, rischiano di disincentivarli con letture che, nel nome del formalismo, tradiscono lo spirito della norma.
-
Foto di Sangeeth Sangi da Pixabay