Roma, Senato della Repubblica, 25 settembre 2025. Il professor Stefano Bacchiocchi presenta il “contributo automazione”, una proposta che cerca di governare un fenomeno che sta cambiando il mercato del lavoro (si veda anche l’articolo odierno di Claudio Garau).
La scelta del termine colpisce. Non intelligenza artificiale, non robot. Automazione. Serve un termine che possa contenere qualsiasi tecnologia che sostituisca una persona umana sul posto di lavoro.
Bacchiocchi anticipa subito di volere “esaltare” i problemi della sua proposta. Non è la solita presentazione dove si enfatizzano i benefici e si glissa sulle criticità. Qui i problemi vengono messi al centro.
Il primo problema riguarda una bugia che ci raccontiamo: quella storia che i lavori intaccati dall’intelligenza artificiale sono lavori di bassa lega. È falsa. La metropolitana senza autisti. Le casse automatiche. I magazzini robotizzati. E la contabilità. Tutti noi che lavoriamo in questo settore conosciamo software che hanno già implementato l’AI. È solo questione di tempo.
Il problema non è usare il computer come strumento. Il problema nasce quando l’automazione sostituisce la persona. Perché, allora, sorge una domanda fondamentale: i contributi, se tutto è automatizzato, chi li paga? Se le macchine producono ricchezza ma non versano contributi previdenziali, il sistema pensionistico collassa. Non è ideologia, è matematica.
La proposta: un meccanismo fiscale che colpisca le imprese che sostituiscono lavoro umano con tecnologia. Con esenzioni chiare: piccole imprese, primi anni di attività, studi professionali.
In realtà esiste già una prima misura italiana volta a legare automazione e salvaguardia dei posti di lavoro: l’IRES premiale, introdotta per il 2025 in via transitoria. Due strumenti opposti per la stessa questione. La nuova proposta dice: se automatizzi sostituendo lavoro, paghi. L’IRES premiale dice: se automatizzi aumentando il lavoro, ti premio.
Sono passati ottant’anni da quando Ford aprì il primo dipartimento di automazione. Anni ‘40. L’azienda veniva costretta a riconoscere i sindacati dopo anni di scontri violenti. Non è un caso che proprio in quel momento nasca il termine “automazione”. Un termine vago, potente, capace di evocare un progresso inevitabile. Contro cui sarebbe inutile opporsi.
La storia si ripete. Oggi come allora, l’automazione viene presentata come una forza della natura. Inarrestabile. Ma la gestione dell’automazione è sempre stata una scelta. Una scelta di impresa, una scelta politica, una scelta sociale. Ford scelse di automatizzare mentre affrontava i sindacati. Le imprese di oggi scelgono di automatizzare tra le mille difficoltà del mercato. E ogni volta, la domanda è la stessa: chi decide? Chi governa il processo? Le macchine o le persone?
Il titolo che ho scelto per questo articolo, “Io, Umano”, non è un caso. È un rovesciamento di quel “Io, Robot” che Asimov scrisse nel 1950. Solo che lui raccontava il punto di vista delle macchine. Noi oggi dobbiamo riaffermare il punto di vista degli umani.
Perché qui sta il punto. L’automazione funziona davvero solo se affiancata dalla competenza umana. Non è ideologia, è efficacia. L’automazione non sostituisce l’uomo. Sposta le competenze su un livello diverso. Le aziende devono investire in automazione e nella formazione del personale. Devono continuare a costruire competenze umane che rendano quella tecnologia davvero efficace.
Il rischio vero non è che i robot ci sostituiscano. È che noi li lasciamo fare senza governare il processo. Che deleghiamo alle macchine decisioni che dovremmo prendere noi. Che rinunciamo a investire sulle competenze umane pensando che tanto basta la tecnologia.
Ma non basta. Non basterà mai. Uno strumento vale tanto quanto vale chi lo sa usare.
Da Ford a oggi, la questione è sempre stata la stessa: tecnologia sì, ma con quale modello sociale? Automazione sì, ma a vantaggio di chi? Progresso sì, ma che non lasci indietro le persone.
La proposta di Bacchiocchi e l’IRES premiale sono tentativi di risposta. Imperfetti, probabilmente. Ma almeno sono una presa di posizione. Dicono: l’automazione non è neutrale. Non è inevitabile. È governabile. E deve essere governata.
Noi oggi siamo a quel bivio. E la scelta non la faranno le macchine. La faremo noi. Se la faremo.


