Significato primario della parola ‘interpretazione’, secondo il Grande Dizionario italiano dell’uso di Tullio De Mauro (Torino, UTET, 1999), è ‘l’interpretare e il suo risultato’. Il termine, dunque, rimanda in sé a quelli a esso contigui: ‘interpretare’ – l’azione di cui esso denota il processo e l’esito – e ‘interprete’ – l’agente, colui/colei che compie tale azione. Comune, com’è ovvio, l’origine latina – ‘interpretatio’, ‘intěrprětāri’, ‘interpres’ –, a sua volta derivata dall’incontro tra la radice ‘prètium’, ‘prezzo’, e il prefisso ‘inter’, ‘tra, in mezzo’, a esprimere il concetto di mediazione.
La parola ‘interpretazione’, come quelle a essa apparentate, può dirsi di uso comune, con accezioni diverse nei diversi contesti cui è relata, più o meno prossime a una o a entrambe le valenze in essa racchiuse: per un verso, la decifrazione di un’articolata e complessa espressione linguistica e l’individuazione del suo senso (“comprensione e spiegazione del significato più recondito di un testo, di un discorso e sim.”, De Mauro); per altro verso, la resa e la trasmissione di tale senso tali da consentirne la fruizione da parte del destinatario (ancora De Mauro: “esposizione, traduzione in un linguaggio noto di ciò che è espresso attraverso simboli, segni convenzionali o comunque in forma normalmente non accessibile”). Più o meno prevalenti nelle varie occorrenze i due tratti costitutivi del percorso di mediazione, finalizzato a stabilire una proficua relazione tra un’entità portatrice di senso e chi tale senso deve opportunamente cogliere e definire, cioè delimitare e precisare.
Con buona pace del brocardo latino “In claris non fit intepretatio”, ricorre assai di frequente in ambito giuridico l’interpretazione di una norma di legge, indispensabile quando la norma, concepita e redatta al fine di regolamentare una materia, conserva un margine più o meno ampio di discrezionalità quando non di indefinitezza in relazione agli specifici casi che a essa afferiscono. Si tratta dunque, almeno in linea di principio, dell’ “accertamento dell’esatto significato di una norma giuridica al fine della sua applicazione” (De Mauro) o forse più estesamente dell’ “applicazione del precetto legislativo al caso concreto previo chiarimento delle oscurità e integrazione delle lacune contenute nella legge” (Vocabolario Treccani) ai fini di un’interpretazione che può talora risultare ‘estensiva’ o ‘restrittiva’, fino all’eventualità dell’ “interpretazione autentica” posta in essere dal legislatore stesso. L’impegno è quello di cogliere il senso ultimo sotteso alla norma, che possa orientarne correttamente l’applicazione alle singole fattispecie.
Diffusamente presente nei più svariati campi dell’attività umana, la pratica dell’interpretazione è propria di contesti nei quali la conoscenza e la comprensione si fondano, al di là della rilevazione, qualora ve ne siano, di dati misurabili, su qualità intellettuali precipuamente umane, ugualmente essenziali per la loro trasmissione. È ciò che è alla base dell’intersezione tra codici linguistici differenti, tutta affidata alla capacità dell’interprete/traduttore, tanto più quando opera in simultanea e/o come mediatore culturale, di comprendere rapidamente e al meglio il contenuto e il senso del discorso di partenza e di elaborare pressoché istantaneamente in un’altra lingua un nuovo testo capace di rendere con chiarezza quel contenuto e quel senso. Privilegiata è in questo caso l’esigenza della comunicazione immediata ed efficace rispetto a quanto avviene nella traduzione scritta, dove un peso maggiore è attribuito all’adesione alla lettera e allo spirito del testo originario, fermo restando che si tratta pur sempre, appunto, di “dire quasi la stessa cosa” (Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esercizi di traduzione, Milano, Bompiani, 2003).
Specialmente pregnante è l’interpretazione dei sogni, di freudiana memoria e perenne attualità, chiamata a misurarsi con eventi generati nelle zone più oscure della psiche umana, di difficile definizione e ancor più ardua decifrazione. Una regione vastissima quella dell’inconoscibile, dell’irrazionale, del fantastico e della creazione artistica che di essi è primaria espressione, nella quale l’interpretazione assume una speciale rilevanza. Se infatti è vero che la fruizione di un’opera d’arte è soggettiva e passa in primo luogo attraverso l’emozione, è altrettanto vero che a sostanziare l’esperienza artistica e ad apprezzare il valore di un’opera concorre, insieme alla sensibilità e al gusto, l’esercizio dell’interpretazione: studiare l’opera, ricercarne il senso in relazione al segno, tentare di individuare cosa in essa generi quell’emozione e in quale modo. E se l’interpretazione è in tal senso importante per la letteratura o per le arti figurative, essa è determinante per le arti performative, nelle quali il testo, sia esso scritto o orale, non vive se non attraverso l’interprete. Così è per tutto quanto riguarda la rappresentazione, dove ogni elemento della messa in scena è frutto di una scelta interpretativa del testo di partenza e centrale è la prova dell’attore, chiamato a immedesimarsi e dar vita, a interpretare, appunto, un personaggio d’invenzione, un altro da sé. Ancor più necessario è l’interprete nella musica, lingua straordinaria e misteriosa priva di vocabolario: la creazione musicale è destinata al silenzio, dunque a tradire la propria intrinseca natura, senza l’interprete che in corrispondenza di grafemi su un pentagramma, così come nell’eseguire musica tramandata oralmente, sappia cogliere un’intenzione espressiva, immaginare suoni connotati da intensità e colore che si susseguono secondo un andamento nel tempo e una distribuzione nello spazio, e poi cercare con tutti gli strumenti di cui dispone, dall’intuizione all’intelligenza, dal puro talento alla specifica tecnica, i gesti perché quel che immagina diventi corpo sonoro e così raggiunga l’ascoltatore, toccandone le corde più profonde.
Una disciplina dell’approssimazione, l’interpretazione, un progressivo avvicinarsi al cuore del discorso. Disciplina umanissima, che, tanto più in ragione dei suoi effetti e dell’eventualità dell’errore o dell’arbitrio, implica la qualità morale della responsabilità.