“Ingranaggi interiori” - SPECCHI DIGITALI – RACCONTI E RIFLESSIONI SULL’UMANITÀ RIFLESSA NELLE SUE MACCHINE
di Gabriele Silva
C’è una scena, in Tempi moderni di Charlie Chaplin, in cui l’operaio finisce letteralmente risucchiato dentro gli ingranaggi della fabbrica.
Un corpo piegato al ritmo della macchina, un gesto che diventa tic, un’identità che si dissolve nel compito ripetuto.
Era il 1936, e Chaplin ci stava già dicendo qualcosa che oggi, nell’era dell’intelligenza artificiale, suona ancora più potente: quando il lavoro si meccanizza, l’umano vacilla.
Nel film, il protagonista è vittima della catena di montaggio, dei ritmi imposti, dell’assurdo di un sistema che pretende velocità, efficienza e obbedienza.
Oggi, la catena di montaggio non è più fisica: è digitale.
È fatta di notifiche, dashboard, KPI, riunioni sincronizzate su Zoom e risposte da dare “entro 10 minuti”.
Ma il principio non è cambiato: ci adattiamo al ritmo delle macchine.
Solo che adesso le macchine non fanno rumore.
Sono silenziose, intelligenti, gentili.
E ci chiedono di essere sempre presenti, reattivi, performanti.
Ogni volta che riceviamo una mail con “gentilmente in tempi brevi”, ogni volta che una piattaforma ci segnala un calo di produttività, ogni volta che compiliamo l’ennesimo report automatico senza leggerlo davvero, stiamo girando, come Chaplin, una chiave che non ci appartiene.
Stiamo ingrassando un sistema che si nutre della nostra attenzione continua e della nostra resistenza passiva.
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