Intelligenza artificiale: non si parla d’altro e, certamente, è argomento trasversale alle materie ed alle generazioni. Che la si utilizzi, più o meno intensamente (e/o correttamente), o la si “subisca”, sotto forma di bombardamento di spot a mezzo social o contributi scritti e visivi elaborati - in toto o in parte - con l’ausilio della macchina, l’IA, oggi fa parte delle nostre vite. Come affrontare tutto questo? A parere di chi scrive, l’approccio ad ogni innovazione richiede di agire su due fronti: l’incontro, ovvero abbracciare, accogliere il nuovo, e il confronto, ovvero l’apprendere quanto più possibile, mantenendo tuttavia sempre saldo il proprio spirito critico.
La prima fase, quella dell’incontro, è in pieno svolgimento: non vi è attività che ormai non abbia preso atto del cambiamento, pressoché quotidiano, con il quale siamo chiamati a confrontarci, peraltro sotto la “minaccia” più o meno velata dell’essere tagliati fuori dal mercato, qualunque esso sia, se non sapremo stare al passo.
L’incontro è, in qualche modo, anche generazionale, e vede, da un lato, genitori costretti a rincorrere e, dall’altro lato, figli adolescenti trasformati, contro ogni previsione, in validi insegnanti. Non è possibile restare indietro, e tutto ciò richiede, per noi nati nel secolo scorso e cresciuti nell’ottica del motore di ricerca, un cambio di paradigma cui, oggettivamente, si fatica ad abituarsi, mentre per le nuove generazioni Google è già un ricordo.
L’incontro, per quanto possa apparire ostico, è comunque gestibile. Alla fin fine, si tratta semplicemente di fare, ancora una volta, un qualcosa che abbiamo già fatto milioni di volte, ovvero apprendere l’utilizzo dell’ennesima nuova tecnologia. Con una battuta, potremmo dire: “possiamo noi, sopravvissuti alla fattura elettronica, spaventarci per la IA?”.
Decisamente più complesso è il secondo fronte, quello del confronto, ed è su questo che vi è veramente molto da lavorare. È fuori di dubbio che l’intelligenza artificiale rappresenti, per l’esecuzione di lavori standardizzati e ripetitivi, una risorsa di grande valore. Sempre che, attenzione, venga effettuata un’attenta analisi dei costi di “istruzione” della macchina, posto che il primo mito da sfatare è proprio quello dell’intelligenza. Ebbene sì, l’intelligenza artificiale non è, in realtà, intelligente, o quanto meno non lo è nell’eccezione che chi scrive ama dare al termine, poiché manca di spirito critico e di personalità. Ad esempio, l’intelligenza artificiale non contesta l’assunto sulla base del quale viene formulata una domanda: si limita, consultando l’enorme base dati di informazioni a sua disposizione, a fornire una risposta plausibile (come tale, non necessariamente corretta).
L’intelligenza artificiale manca di spirito critico: se istruita sulla base di informazioni errate, non contesterà l’inesattezza della fonte sulla base della quale, ad esempio, viene richiesto di formulare una sintesi. O meglio, lo farà, ma solo ed esclusivamente laddove ciò venga precisato e siano disponibili altre fonti da porre a confronto. Anche in tal caso, si limiterà ad evidenziare le discordanze, ma non potrà criticamente discernere la fonte corretta da quella errata.
Sotto il profilo creativo ed espositivo occorre rilevare che l’intelligenza artificiale, per quanto possa apprendere anche uno stile ed imitarlo, mai avrà quelle caratteristiche uniche che fanno sì che un contributo originale venga riconosciuto, senza che sia nemmeno necessario leggere la firma dell’autore.
Sono questi gli aspetti che occorre prendere in considerazione quando ci si avvicina alla IA, ovvero l’aver piena consapevolezza del fatto che non ci si sta affatto rapportando con una mente superiore, in grado di fornire risposte sempre affidabili e espresse nel miglior modo possibile. Ci si sta, invero, rapportando con una “mente” la cui conoscenza si basa su fonti non sempre affidabili, oppure, talora, non sempre comprensibili. Un semplice e banale test potrà probabilmente far meglio comprendere il concetto, peraltro avvicinando queste considerazioni generiche al mondo che meglio siamo abituati a conoscere: provate a “dare in pasto” alla IA un testo tecnico, ad esempio una risposta ad interpello in ambito fiscale, richiedendone la sintesi, e già avrete la percezione di quanto un linguaggio che risulti essere appena fuori da quello ordinario possa mandare in crisi la comprensione del testo. Il risultato sarà, quando va bene, piatto e banale; nella peggiore delle ipotesi, anche sostanzialmente errato.
Piatto e banale, come piatti e banali risultano, oramai, troppi contributi “pubblicistici”, quasi tutti strutturati in maniera identica, sostanzialmente recanti, anch’essi, una “firma” che non necessita di lettura: la firma del “copia, incolla, rielabora con ChatGPT”. Medesime considerazioni valgono per le immagini generate dalla IA, riconoscibili al primo sguardo per tratto, colore e quel senso di già visto, tali da renderle quasi trasparenti alla vista e, come tali, assolutamente inutili.
Si proceda quindi con interesse nell’incontro con la IA, ma senza cedere di un passo sul piano del confronto, senza mai delegare il proprio pensiero e la propria personalità, a costo di essere definiti obsoleti, se non ottusi.
Il punto è che la frase magica “Bisogna saper scrivere bene i prompt” non è un mantra, da ripetere mattina e sera, con costanza e fede, affinché l’IA ci illumini la via. È semplicemente un nuovo tecnicismo che dobbiamo apprendere per semplificarci, dove possibile e ragionevole, la quotidianità, senza dimenticare mai che anche il concetto più banale (ammesso che davvero ne esista uno) merita studio, attenzione, verifica e cura, se non vogliamo precipitare, come già stiamo precipitando, in un universo ancora più sciatto ed omologato.