Nelle pieghe della Legge di Stabilità 2016 (legge 208 del 28 dicembre 2015), è stata inserita un’interessante novità per il nostro Paese, ovvero il modello delle società benefit. Siamo stati la prima nazione (dopo alcuni singoli Stati negli USA) a introdurre questo nuovo paradigma aziendale. Il modello benefit prevede che le imprese integrino alla propria ragion d’essere – realizzare un prodotto o servizio e generare valore per remunerare i fattori produttivi e la proprietà – ulteriori finalità, di natura sociale, ambientale, di buona gestione.
Il modello “benefit” definisce una nuova qualifica per quelle imprese profit che volontariamente decidono di incorporare nello statuto finalità sostenibili all’interno del proprio oggetto sociale, le quali devono essere perseguite con la stessa dignità di quelle economiche.
Quali obiettivi di sostenibilità possono essere inclusi? Quanti? Come devono essere conseguiti?
La legge lascia piena libertà. Si possono prevedere finalità di benessere per i collaboratori, di miglioramento dei risultati ambientali, sostegno al territorio, leadership evoluta. Non ci sono regole precise. L’importante è vincolare la missione aziendale, riparandola da cambiamenti societari e direzionali, e rendicontare annualmente i risultati raggiunti.
Il modello delle società benefit si appresta a spegnere le prime dieci candeline
Sembra ieri, ma sono trascorsi quasi dieci anni da questa primogenitura, tutta italiana, che ha tracciato la rotta per altri ordinamenti europei.
Per chi segue le tendenze della sostenibilità d’impresa, il modello benefit ha attirato fin da subito l’attenzione. In un contesto, come quello della sostenibilità, dominato da regole e standard internazionali, l’idea di lasciare ampi spazi alla definizione della propria mission sostenibile è interessante. Nello specifico caso italiano, c’è la possibilità di mettere a valore una struttura imprenditoriale fatta di micro e piccole imprese legate al territorio, con una vocazione innata all’efficienza ambientale, alla restituzione di valore alla comunità, al profilo umano.
Per diverso tempo il modello delle società benefit è rimasto però in sordina. Negli ultimi anni, invece, è cresciuta la sua applicazione, e l’espansione dell’onda benefit è ormai costante.
A fine 2024 abbiamo superato le 4.300 società benefit nel nostro Paese. Sono perlopiù società a responsabilità limitata, appartenenti al terziario. Manca ancora una rappresentanza forte del settore manifatturiero e, percentualmente, il fenomeno è ancora circoscritto, per quanto in crescita a doppia cifra.
Società benefit: quanto sono efficaci per la sostenibilità?
Non sono mancate le critiche al modello benefit, in taluni casi pienamente condivisibili. Non c’è, infatti, un vero e proprio controllo di terze parti sull’effettiva missione aziendale, né un diretto vantaggio per le imprese, se non di differenziazione sul mercato. Anzi, a voler essere il Bartleby della situazione, si introducono nuovi compiti e responsabilità per gli amministratori, senza un corrispettivo beneficio. Perché mai farsene carico?
Chi scrive ha visto nascere alcune fra le prime società benefit italiane. Storie molte belle di aziende consapevoli, evolute, a coronamento di un percorso di sostenibilità strutturato. Altre sono diventate tali per effetto di una contaminazione di mercato, al traino della concorrenza.
Tutte però, anche le meno convinte, si sono poste una domanda, a seguito della trasformazione: “E adesso, cosa possiamo (dobbiamo) fare?”.
In questo senso il modello benefit è virtuoso: impone una riflessione, all’insegna della sostenibilità. La legge si limita a definire i paletti principali ma il sentiero è tutto da tracciare.
Un nuovo modo di stare sul mercato?
Ci si domanda se il modello delle società benefit si affermerà come elemento di differenziazione o se, dopotutto, diventerà un paradigma cui tutte le imprese, indipendentemente dall’aspetto formale, dovranno tendere. Attrarre e mantenere persone di valore, garantire un clima di lavoro positivo, gestire e migliorare gli impatti ambientali, rafforzare il governo d’impresa sono fattori che già oggi determinano la capacità competitiva delle aziende e lo faranno ancor più in futuro.
Forse non sarà più possibile “fare impresa” senza lavorare a obiettivi intangibili di benessere, reputazione, coinvolgimento, inclusività, innovazione. Obiettivi benefit, appunto.