Il TCF come “anticipazione” di un vero salto di qualità nel rapporto fisco contribuente
di Luigi Lovecchio
Il modello dell’adempimento collaborativo e del TCF opzionale rappresenta una evoluzione di sistema di grande interesse anche sotto il profilo ordinamentale che ci pone verosimilmente all’avanguardia nella gestione dei rapporti tributari, nell’ambito dei Paesi Europei. La netta sensazione è che la disciplina di riferimento sia ancora in una fase transitoria, destinata a nuovi sviluppi sulla base dei feedback che giungeranno dalle prassi operative. Basti pensare che, rispetto alla normativa originaria, anche nel regime di TCF opzionale si è già passati da una previsione di attenuazione del carico sanzionatorio ad una fattispecie di totale esimente da sanzione, in caso di rischi fiscali comunicati con l’interpello.
Vi è dunque da attendersi degli ulteriori effetti di “spillover” dall’adempimento collaborativo al TCF opzionale, mano a mano che l’esperienza concreta dovesse generare effetti positivi e, soprattutto, che la dotazione personale e strumentale dell’Agenzia delle entrate venga progressivamente implementata, per far fronte ai compiti impegnativi che gli istituti in esame richiedono. Si può ad esempio ipotizzare la diffusione delle comunicazioni di rischio, in alternativa all’interpello, quale forma di dialogo privilegiata con l’Agenzia delle entrate, o l’estensione dell’interpello abbreviato al mondo delle imprese in TCF opzionale, in considerazione della tempistica maggiormente rispondente alle realtà operative delle aziende. E soprattutto non dovrebbe essere difficile preconizzare la riduzione dei termini dell’accertamento anche al mondo del TCF volontario, se solo si considera che in un ambiente connotato dalla “disclosure” anticipata del rischio fiscale, accompagnata da adeguati presidi per controllare e gestire in tempo reale la variabile tributaria, non vi è motivo per prevedere controlli a distanza di 5 anni dall’adempimento. La stessa reazione sanzionatoria, in un contesto governato dal TCF, dovrebbe diventare del tutto residuale, con una ulteriore estensione della disciplina delle esimenti: la commissione di illeciti gravi o la reiterazione di violazioni fiscali dovrebbe diventare, in un futuro prossimo, pienamente sanzionabile, in quanto causa di esclusione dal regime della cooperative o del TCF. Ma se la violazione fiscale resta all’interno del sistema di governance del controllo del rischio, la sanzione dovrebbe tendenzialmente scomparire del tutto.
Il TCF, da solo, non è tuttavia sufficiente a migliorare sensibilmente il rapporto tributario, che è ormai diventato tossico. Occorre, in primo luogo, un salto di qualità nell’approccio da parte dell’Amministrazione finanziaria che deve veramente sforzarsi di capire le realtà aziendali, abbandonando l’impostazione fondata sull’obiettivo unico del reperimento delle risorse. È necessario, inoltre, che la qualità della legislazione tributaria migliori sensibilmente, passando da una impostazione tassonomica a una legislazione per concetti e per princìpi. Nel contempo, si impone anche un deciso cambio di passo della giurisprudenza di vertice che non può più ergersi a paladina dei conti pubblici, nel presupposto, sotteso alla trama argomentativa delle pronunce – si pensi alle Sezioni Unite sull’autotutela sostitutiva o all’ultimo arresto di Cassazione sulla deroga al favor rei -, che in Italia non sia ipotizzabile un’Amministrazione finanziaria efficiente e “giusta” – e che pertanto occorra la supplenza dei giudici. Fino a quando non ci saranno cambiamenti in questi tre ambiti cruciali, anche il TCF non potrà determinare un vero e proprio salto di qualità. Detto in altri termini, fino a quando il Fisco agirà preferendo la soluzione più onerosa per il contribuente, contando su di una sostanziale impunità giurisprudenziale, il rapporto tributario continuerà ad essere “subìto” e non “partecipato” dalla parte privata.