"Il robot che chiedeva scusa" - SPECCHI DIGITALI – RACCONTI E RIFLESSIONI SULL’UMANITÀ RIFLESSA NELLE SUE MACCHINE
di Gabriele Silva
Mi è capitato più volte, negli ultimi mesi, di ricevere e-mail generate da assistenti digitali, software aziendali o helpdesk automatizzati. Alcune erano così ben scritte da sembrare reali. E tutte, puntualmente, contenevano almeno una frase di scuse. “Ci dispiace per l’inconveniente.” – “Ti chiediamo scusa per l’attesa.” – “Siamo consapevoli del disagio arrecato.”
E ogni volta mi sono chiesto: ma chi si sta scusando davvero?
Nel 1950, Isaac Asimov pubblica “Io, Robot” una raccolta di racconti che cambierà per sempre la fantascienza. In quegli scritti, i robot non sono più solo minacce o strumenti. Sono personaggi complessi, regolati da tre Leggi della Robotica, pensate per proteggerci. Ma proprio quelle leggi, apparentemente perfette, danno origine a dilemmi morali, contraddizioni logiche, domande profonde.
I robot di Asimov non disobbediscono. Non uccidono. Non mentono. Eppure, proprio per questo, mettono in crisi la nostra idea di libertà, di coscienza, di responsabilità. Non sono ribelli, ma specchi. Ci mostrano, in modo freddo e pulito, come funzionano – o non funzionano – i nostri principi.
Il racconto forse più emblematico è Robbie, in cui una bambina instaura un legame affettivo fortissimo con il suo robot-badante. Ma la madre, preoccupata dall’idea che una macchina possa sostituire un essere umano, decide di separarla da lui. Eppure, sarà proprio Robbie – il robot silenzioso e obbediente – a salvare la vita della bambina.
È lì che Asimov ci dice una cosa chiara: non dobbiamo temere le macchine perché sono fredde. Dobbiamo temerle perché riflettono i nostri stessi limiti.
E forse, ancora di più, dovremmo temere noi stessi, quando cominciamo ad assomigliare a loro.
Oggi, in molte aziende, lavoriamo come i robot di Asimov. Non per malvagità. Non per sciatteria. Ma per eccesso di conformità.
Ci atteniamo a procedure, regolamenti, policy. Usiamo linguaggi corretti, scriviamo e-mail formali, rispettiamo tempi e priorità. Eppure, molto spesso, in quella perfezione linguistica si perde l’anima.
Il cliente riceve la risposta, ma non il contatto umano. Il collega legge il report, ma non sente la voce. Il team esegue, ma non partecipa. E quando qualcosa va storto, arriva il messaggio automatico: “Ci dispiace per l’inconveniente.” Nessuno ha deciso di scriverlo. Ma tutti ci si riconoscono.
Le Tre Leggi della Robotica erano pensate per proteggere gli esseri umani dai robot. Ma oggi potremmo riscriverle così:
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