Il ripensamento della scelta fiscale preclude la dichiarazione integrativa
di Giacomo Monti
L’emendabilità di una dichiarazione fiscale, regolarmente presentata entro i termini di legge, è strettamente connessa alla possibilità – o talvolta alla necessità – di “correggere errori od omissioni” presenti nella dichiarazione originaria. Tale principio è sancito, sia in materia di imposte dirette, sia di IVA, rispettivamente dagli articoli 2, comma 8, e 8, comma 6-bis, del Dpr 322/1998.
L’Amministrazione finanziaria ha più volte chiarito (risoluzione 325/E del 2002 e principio di diritto n. 13 del 2018) – in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale – che il semplice ripensamento di una scelta già operata in dichiarazione non costituisce errore né omissione e, dunque, non legittima il ricorso alla dichiarazione integrativa. Se l’errore riguarda i motivi della scelta o una valutazione di convenienza fiscale, successivamente ritenuta inadeguata, la correzione non è ammessa, salvo specifica deroga normativa.
Una fattispecie analoga si è presentata con riferimento alle regole di ripartizione delle detrazioni fiscali legate al c.d. “Superbonus”, di cui all’articolo 119 del DL 34/2020. La norma generale, contenuta nel primo comma dell’articolo, dispone che la detrazione fiscale venga ripartita in cinque o in quattro rate annuali, a seconda che si tratti di spese sostenute entro il 31 dicembre 2021 o successivamente.
Le crescenti difficoltà emerse nella cessione dei crediti “edilizi” – dovute sia alla saturazione del mercato sia ai criteri più restrittivi adottati dagli istituti finanziari – hanno fatto emergere rischi concreti di irrecuperabilità dei crediti stessi, connessi a situazioni di incapienza fiscale. Per cercare di attenuare tali rischi, il legislatore ha introdotto la possibilità, per le spese sostenute nel 2022, di optare – nella dichiarazione dei redditi dell’anno 2023, da presentare entro il 31 ottobre 2024 – per la ripartizione decennale della detrazione fiscale (articolo 119, comma 8-quinquies, del DL 34/2020).
Restavano tuttavia escluse da questa facoltà le spese sostenute nel 2023, per le quali continuava a valere la regola generale della ripartizione quadriennale. Nei consueti ritardi legislativi, ai quali si è ormai abituati, tale lacuna normativa è stata colmata solo con la legge di Bilancio 2025 (L 207/2024), che ha inserito, all’articolo 119 del DL 34/2020, il comma 8-sexies. Considerato che alla data di approvazione della legge di Bilancio 2025 erano già decorsi i termini ordinari di presentazione della dichiarazione dei redditi del 2023, la norma prevede che l’esercizio dell’opzione di ripartizione decennale venga effettuato tramite dichiarazione integrativa, da inviare, in deroga a quanto previsto dall’articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2024.
Si è quindi posto il dubbio se, attraverso la medesima dichiarazione integrativa, da presentarsi entro il prossimo ottobre, fosse possibile optare per la ripartizione decennale anche delle spese del 2022. Su questo punto è intervenuta la risposta n. 130 del 13 maggio 2025 dell’Agenzia delle Entrate.
Nel quesito formulato, l’istante riferiva di avere ceduto alla propria banca il credito relativo a spese del 2022, credito che tuttavia l’istituto di credito non aveva ancora accettato alla data di presentazione dell’istanza di interpello e che quindi l’istante stesso non aveva potuto indicare, né nella dichiarazione del 2022 né in quella del 2023. L’istante, quindi, chiedeva, in caso di rifiuto della cessione da parte della banca, come poter recuperare le quattro rate annuali ordinarie, e soprattutto se fosse ammissibile l’opzione per la ripartizione decennale.
In maniera condivisibile, ad avviso di chi scrive, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver precisato che il credito ceduto può tornare nella disponibilità del beneficiario originario solo a seguito del rifiuto da parte del cessionario, chiarisce che il recupero delle quattro rate annuali è operabile attraverso la presentazione di dichiarazioni integrative per gli anni di imposta 2022 (anno di riferimento delle spese) e 2023. Non è invece consentito l’esercizio dell’opzione di ripartizione decennale, poiché – precisa l’Agenzia – l’articolo 119 del DL 34/2020 ammette espressamente l’integrativa per le sole spese sostenute nel 2023. Anche se la mancata indicazione della detrazione sia dipesa da una condotta della banca, è interesse (e onere) del contribuente sollecitare la banca stessa a procedere, il prima possibile, con l’accettazione o con il rifiuto del credito.
L’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria appare coerente con il quadro normativo: la decisione di spalmare la detrazione in dieci anni, subordinata al rifiuto della banca, rappresenta, infatti, una modifica della scelta iniziale di cessione del credito. In tal senso, non sarebbe neppure invocabile l’incertezza normativa che, secondo la Cassazione (ordinanza n. 14889/2024), giustifica l’emendabilità di un errore di fatto o di diritto.
Qualora l’inadempienza della banca impedisca l’esercizio di un’opzione fiscalmente più vantaggiosa, rimane tuttavia la possibilità per il contribuente di valutare l’avvio di un’azione risarcitoria verso l’istituto di credito.