Il ricorso non deve essere confuso e oscuro: l'importanza della forma negli atti processuali
di Lorenzo Romano
L'ordinanza della Corte di Cassazione civile, Sezione Terza, numero 12111, depositata il 7 maggio 2025, offre uno spunto di riflessione sui requisiti essenziali degli atti processuali, un tema cruciale che trascende le specifiche materie del diritto.
Nel caso esaminato, il ricorrente aveva impugnato una sentenza di Corte d'appello, ma il suo ricorso è stato dichiarato manifestamente inammissibile. I fatti di causa non sono stati adeguatamente riferiti, data la "insuperabile oscurità e confusività del ricorso". Le ragioni di tale decisione risiedono in una serie di carenze considerate insanabili: il ricorso mancava dell'esposizione dei fatti salienti del giudizio, un requisito imposto a pena di inammissibilità dall'articolo 366 n. 3 del codice di procedura civile; non presentava una chiara esposizione del contenuto della sentenza impugnata, né una ragionata censura avverso di essa; inoltre, taceva circostanze rilevanti come le ragioni delle azioni in primo grado e in appello, conteneva riferimenti a fatti o circostanze introdotti, ma non spiegati, e includeva riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini della decisione.
Un ricorso così strutturato è stato definito "incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma", e la Corte ha ribadito, richiamando numerosi precedenti, che la coerenza dei contenuti e la chiarezza della forma costituiscono il presupposto imprescindibile perché un ricorso possa essere esaminato e deciso.
Va rammentato che la Riforma Cartabia ha normativamente fissato principi che già da anni erano stati concertati (in vari Protocolli d’intesa) dalla Suprema Corte con l’Avvocatura di Stato e con il Consiglio Nazionale Forense: infatti, sono stati così riformati gli articoli 121 e 366 C.p.c. con l’introduzione espressa dei requisiti di chiarezza e sinteticità.
Questi principi non sono peculiari del solo ordinamento italiano, ma sono regole fondamentali in tutte le legislazioni dei Paesi economicamente avanzati, come dimostrano i riferimenti richiamati nella medesima ordinanza in commento ovvero l'articolo 3, comma 2, del codice del processo amministrativo che impone atti "chiari e sintetici", o la Guida per gli avvocati della Corte di giustizia dell'Unione Europea che richiede al ricorso di consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali con una semplice lettura, ovvero altri riferimenti a normativa e giurisprudenza USA.
Questa esigenza di chiarezza e sinteticità non si limita al ricorso per Cassazione civile, ma (ovviamente) si estende e riveste pari importanza anche in altri ambiti del diritto, come ad esempio nella giustizia tributaria, dove un ricorso tributario di merito deve essere altrettanto intelligibile per consentire al giudice di comprendere le ragioni del contribuente e i vizi contestati all'atto impugnato.
Anche nella giustizia tributaria, infatti, principi analoghi trovano applicazione in virtù dell’articolo 17-ter Dlgs 546/92 (introdotto dall’articolo 1 del Dlgs 30 dicembre 2023, n. 220).
Si rammenta, peraltro, un precedente della Commissione Tributaria del Veneto (sentenza n. 367 del 9 marzo 2024), che ha affrontato temi legati alla chiarezza ed alla lamentata prolissità degli atti processuali anche in quel contesto: la sentenza lamentava che l’atto di appello si componeva “di 172 pagine al quale sono stati allegati 36 documenti che, nel fascicolo telematico, sono rappresentati da 225 allegazioni; l’allegato principale (da un punto di vista del merito della controversia) è la consulenza tecnica … che risulta composta da 1279 pagine”.
Tornando alla pronuncia 12111/2025, occorre rilevare che la mancanza di chiarezza e la confusione nel ricorso presentato alla Cassazione hanno avuto conseguenze dirette e severe per il ricorrente. Le spese del giudizio di legittimità sono state poste a suo carico ai sensi dell'articolo 385, comma 1, del codice di procedura civile.
Inoltre, l'"incolmabile iato" tra il contenuto del ricorso e i requisiti di forma-contenuto prescritti dall'articolo 366 C.p.c. ha palesato quanto meno una colpa grave nella proposizione dell'impugnazione, imponendo la condanna del ricorrente ai sensi dell'articolo 96, comma terzo, C.p.c., una sanzione prevista per chi agisce in giudizio con mala fede o colpa grave.
Le decisioni in commento rappresentano così un chiaro monito sull'importanza cruciale della redazione degli atti processuali con la massima attenzione alla chiarezza, alla coerenza e alla completezza delle informazioni rilevanti: requisiti fondamentali per l'accesso effettivo alla giustizia e per un corretto svolgimento del processo in ogni sua fase e grado.