Il rebus delle sanzioni doganali, tra profili valutativi, comportamenti penalmente rilevanti e casi speciali di abuso del diritto
di Ettore Sbandi e Antonio Sangiovanni
La recente modifica del Dlgs n. 141 del 2024 ha mitigato gli effetti penali delle violazioni doganali, intervenendo sul sistema delle soglie e, in particolare, innalzando quella dell’IVA. Resta tuttavia la questione dell’impianto generale delle Disposizioni Nazionali Complementari al CDU (DNC) di cui al predetto decreto, che – modificando radicalmente il precedente assetto – non distinguono più l’illecito penale da quello amministrativo per la presenza, o meno, di fatti o documenti indice di frode o dolo, ma per il mero fatto del superamento di una determinata soglia di evasione.
L’intervento operato con la modifica, infatti, non cambia il settaggio dell’impianto punitivo, ma lo mitiga agendo sulle soglie, come da ultimo modificate dal Dlgs n. 81 del 2025, che interviene infatti sull’articolo 96 delle Disposizioni nazionali complementari prevedendo l’applicazione della sanzione amministrativa che di norma è dal 100 al 200 per cento del tributo che si assume evaso, salvo che, alternativamente, l’ammontare dei diritti di confine a titolo di dazio doganale dovuti o indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione sia superiore a euro 10.000 e l’ammontare complessivo dei diritti di confine diversi dal dazio (prioritariamente, ma non solo, l’IVA), dovuti o indebitamente percepiti o indebitamente richiesti in restituzione, sia superiore a euro 100.000.
Per l’IVA si viene a realizzare una fattispecie più teorica che pratica, per via degli importi elevati se parametrati ad una singola operazione, che tuttavia si configura ancora piuttosto emergenziale e poco sistematica all’interno del panorama tributario, anche se sicuramente migliorativa del rischio precedente e di favore per le imprese.
Resta il punto, infatti, che sia per i dazi, dove la soglia è ridotta con rischi penali costanti soprattutto per talune ipotesi, sia per l’IVA, per esempio nelle ipotesi di omessa dichiarazione per errore di carico o di rappresentazione documentale di un carico, il sistema presenta ora un grado di protezione senz’altro irrigidito rispetto al precedente quadro, non tanto e solo negli effetti, quanto nell’approccio.
Con la riforma, infatti, l’autorità doganale perde ogni valutazione, anche solo preliminare, sugli elementi soggettivi che circondano un illecito, procedendo nell’istituzione di un modello per soglie, sotto alle quali l’illecito è amministrativo, viceversa è penalmente rilevante.
In un contesto, però, particolarmente tecnico e spesso altamente valutativo, questo approccio ha destato forti perplessità tra gli operatori e le associazioni di categoria, soprattutto alla luce della soglia individuata, che era per tutti i diritti di confine, prima del correttivo pari ad euro 10.000, e che ora, come visto, è differenziata, a cui si aggiungono misure accessorie attuali o potenziali particolarmente afflittive.
Non può non richiamarsi il fatto che, per le ipotesi di illecito penale, le DNC prevedono, sempre e comunque, sia per le verifiche in linea, sia per quelle a posteriori, la confisca dei beni (non per il valore dei diritti, ma di tutta la spedizione) o, in assenza di questi, di un valore ad essi equivalente. E nello stesso senso va l’articolo 96 DNC, che pure prevede, a certe condizioni determinate da una formulazione non felicissima della norma (comma 7 e seguenti), la confisca amministrativa per tutte le ipotesi non penalmente rilevanti, che pure soffrono la presenza di una misura accessoria particolarmente gravosa.
Si è detto già che questo impianto si innesta in un quadro normativo già di per sé particolarmente tecnico e spesso altamente valutativo, dove sono in discussione elementi fattuali incerti, che hanno linee guida risolutive spesso assenti, oppure deboli, oppure non normate, oppure solo indirizzate da prassi generali, spesso internazionali ed unionali e quasi mai nazionali.
Muovendo sugli elementi fondamentali dell’accertamento doganale, è il caso, per il valore, della considerazione di un pagamento quale “condizione della vendita” dei beni, oppure del “controllo indiretto” per l’esistenza di poteri di “orientamento” di un soggetto su di un altro; oppure, per la classificazione, dell’individuazione di “oggetti smontati” con le “caratteristiche essenziali” dei prodotti finiti e montati, oppure della prevalenza, nei prodotti compositi, di elementi che si assumono “essenziali”; o ancora, per l’origine, di lavorazioni che si valutano come “sostanziali” oppure, al contrario, “minime” o “semplici”.
Tutti casi che si presentano altamente discrezionali e dai quali immaginare, sempre (o almeno in automatico, per soglie), una sanzione penale, appare un approccio per lo meno discutibile, come nel caso di tutte le ancora più complesse fattispecie di abuso del diritto, che stanno da ultimo impegnando il contesto doganale, specialmente quando in discussione sono dazi antidumping o misure ad essi affini.
È evidente che, atteso questo quadro ed i ridotti termini di accertamento e contraddittorio, che di fatto si risolve in trenta giorni, le imprese sono chiamate ad azioni di prevenzione fondamentali e necessarie, perché solo il controllo e la qualificazione interna (mappatura processi, AEO, modello 231, assegnazioni funzioni, utilizzo di tool digitali di controllo) può prevenire possibili criticità che, oggi, costringono o alla rassegnazione alle misure deflative previste dalle DNC, oppure a resistenze e procedimenti lunghi ed estremamente onerosi.