Il prezzo dell'opacità: quanto costa la mancata trasparenza nei bilanci aziendali
di Diego Zonta
In un'economia globale sempre più interconnessa e dipendente dai flussi di capitale, la fiducia è la valuta più preziosa. Gli investitori, i creditori e gli stakeholder necessitano di informazioni chiare, affidabili e complete per prendere decisioni consapevoli. Al centro di questo ecosistema informativo si trova il bilancio d'esercizio, un documento che dovrebbe agire come una finestra aperta sulla salute e sulle prospettive di un'azienda. Tuttavia, quando questa finestra è opaca o distorta, i costi che ne derivano non sono solo teorici, ma economici, tangibili e spesso molto elevati. La mancata trasparenza non è un risparmio, ma un onere che grava sull'azienda stessa e sull'intero mercato. Un recente studio di Accetturo ha messo in luce il "valore delle parole", dimostrando come anche le informazioni qualitative e testuali siano una componente critica dell'ambiente informativo di un'impresa. Ne deriva ad esempio che la possibilità per le micro-imprese (imprese aventi totale dell'attivo dello stato patrimoniale inferiore a 175.000 euro, ricavi delle vendite e delle prestazioni entro i 350.000 euro e un massimo di 5 dipendenti occupati) di omettere la nota integrativa ha provocato una riduzione dell'accesso al credito bancario. In altre parole, assistiamo ad un costo diretto della ridotta divulgazione qualitativa.
La penalità diretta dell'incertezza
Il primo e più diretto costo dell'opacità finanziaria è l'aumento del costo del capitale. Quando un'azienda fornisce informazioni vaghe o incomplete, crea una condizione di asimmetria informativa: il management possiede informazioni più accurate rispetto agli investitori esterni. Questi ultimi, non potendo valutare con precisione il rischio a cui si espongono (rischio di stima), lo prezzano più alto. Chiederanno un rendimento maggiore per le azioni e tassi di interesse più elevati per i prestiti. Numerose ricerche negli anni passati hanno dimostrato che una maggiore divulgazione pubblica riduce l'asimmetria informativa, aumenta la liquidità dei titoli di un'impresa e attira grandi investitori istituzionali, portando a un prezzo delle azioni più alto e a un minor costo del capitale. Interessante, peraltro, in tal senso uno studio di Botosan (1997) che trovò una significativa associazione negativa tra il livello di divulgazione volontaria nei bilanci annuali e il costo del capitale proprio. È cruciale notare che questo effetto era concentrato nelle imprese con una scarsa copertura da parte degli analisti, per le quali la comunicazione diretta dell'azienda rappresenta una fonte informativa insostituibile. La mancanza di trasparenza, sia essa per negligenza o per dolo, alimenta i costi di agenzia, che nascono dal conflitto di interessi tra proprietà e management. Bilanci oscuri possono mascherare gestioni inefficienti o gonfiare utili per bonus personali. Questa disconnessione tra gli interessi del management (l'agente) e quelli degli azionisti (il principale) genera inefficienze e distrugge valore. Quando la verità emerge, spesso lo fa in modo traumatico, con crolli improvvisi del valore del titolo, perdita di fiducia e danni reputazionali quasi irreparabili. La trasparenza agisce come un potente meccanismo di disciplina: quando i manager sanno di essere osservati e che le loro performance saranno giudicate sulla base di dati chiari, sono più incentivati ad agire nell'interesse a lungo termine dell'azienda.
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