Il potere della narrazione d’impresa - Fiuto e involtini primavera. L’aneddoto nel romanzo d’impresa
di Alessandro Zaltron
Ciò che mi ha sempre colpito, nel ricostruire le vite degli imprenditori di successo, è come il “segreto” di quel successo sia riconoscibile più nei dettagli che nelle riuscite maestose e nei risultati eclatanti.
Forse perché in quelle storie minime, che le persone ti raccontano senza intenzione, come un alleggerimento dell’intervista, quasi fossero le parti tagliate, perché inessenziali, di un film, si celano le caratteristiche personali che fanno di una persona volenterosa un grande imprenditore.
In Dalla pelle al cuore, il romanzo d’impresa edito da Rizzoli che ho dedicato al Gruppo Mastrotto, azienda conciaria del famoso distretto vicentino di Arzignano e una delle più importanti d’Europa, c’è un episodio che mi viene spesso in mente e che ha per protagonista il suo fondatore Bruno Mastrotto.
Nei primi anni Novanta, la Cina divenne di moda. Vista con sospetto o come potenziale alleata commerciale, di certo non poteva essere ignorata.
Danilo Longhi, presidente della Camera di commercio di Vicenza e in quel periodo anche di tutte le Camere di commercio italiane e vicepresidente di quelle europee, organizzò un viaggio di imprenditori vicentini della concia in Cina. Da protagonista della vita politica durante la grande stagione del boom del Nordest italiano, aveva intuito che qualcosa stava cambiando, che la globalizzazione richiedeva nuove vie economiche, fossero pure quelle antiche della seta.
La riunione più importante si tenne in una grande sala di un solenne palazzo governativo di Pechino. Attorno al maestoso tavolo di lavoro stavano seduti trenta importanti personaggi cinesi e, di fronte, altrettanti imprenditori italiani in trasferta.
Bruno Mastrotto, che non parlava né cinese né inglese, si guardava attorno studiando gli interlocutori. Passati pochi minuti, disse al coordinatore dell’incontro: «Voglio parlare con lui». L’indice eloquentemente teso verso un uomo sui cinquant’anni lasciava pochi dubbi.
Non si sa come, Bruno aveva azzeccato che, tra tutti, era l’unico referente giusto, in quel momento, per fare business. Quando si dice il fiuto.
In seguito alla spedizione esplorativa, arrivarono i primi seri contatti commerciali con aziende cinesi. L’impiegato che doveva seguirli per conto della Mastrotto entrò in panico. Il mandarino, ostica lingua basata su ideogrammi, si studiava poco nelle università italiane, e i cinesi masticavano niente d’inglese. Un dialogo tra sordi… Trovare interpreti non era facile, ad Arzignano e dintorni, come si può immaginare.
Bruno caricò in macchina il suo sfiduciato collaboratore, che rigirava nervoso fra le dita un fax incomprensibile scritto in cinese, e lo portò in centro città.
«Ma io non ho fame» commentò l’incauto.
«Infatti non siamo qui per mangiare ma per reclutare qualcuno che conosca la lingua. Se non lo troviamo al ristorante cinese, dove altro?».
Nel mio lavoro di narratore d’impresa ho imparato che proprio gli episodi minuti – spesso da me raccolti a margine di lunghe giornate di interviste – contengono il vero dna imprenditoriale. Storie come questa non sono semplici aneddoti, e sarebbe limitativo considerarle dei fronzoli di abbellimento o delle curiosità sfiziose, poiché rappresentano chiavi di lettura di un’intera vita professionale: con spontanea rivelazione, fanno emergere lo stile di leadership, la visione, la capacità di scegliere strade inaspettate.
Raccoglierle e raccontarle significa salvare dall’oblio ciò che fa la differenza tra un’azienda qualsiasi e un’impresa con un’identità riconoscibile.
Perché, se ogni grande impresa è un mosaico, ciascuna tessera, anche la più piccola, è indispensabile per ricomporne e riconoscerne l’immagine intera.