Il potere della narrazione d’impresa - “Le storie sono un concentrato di vita”
di Alessandro Zaltron
Mi chiedono spesso da dove si parte per raccontare la storia di un’azienda. Dal momento che le memorie di questo tipo all’interno delle imprese sono perlopiù orali, una quota importante del mio lavoro preparatorio è assorbita dalle interviste informali con persone beninformate: i fondatori, i titolari, i collaboratori più storici o più stretti. Si potrebbe in un certo senso dire che io sono il maieuta delle aziende, estraggo ciò che esse stesse non sanno di avere in sé e, organizzandola in una struttura narrativa, porto alla luce una storia inedita anche per loro.
Ma le informazioni che mi servono le carpisco anche respirando il clima interno, condividendo momenti aziendali e, mi è capitato pure questo, fingendomi un neoassunto nell’azienda che avevo scelto di raccontare. Ne parlo in Il pesce che vola, romanzo d’impresa che ho dedicato al Gruppo CGN di Pordenone e pubblicato da FrancoAngeli nella collana da me diretta.
Manca qualche minuto alle otto di mattina quando entro nella sala riunioni al secondo piano della sede Oceano. I banchi disposti a ferro di cavallo sono tutti occupati da un gruppo vociante di ragazzi e giovani, tranne uno in cima alla stanghetta della U, accanto alla porta. Mi siedo lì, sembra di partecipare al primo giorno di scuola fuori tempo massimo. Mi presento ai miei vicini di banco che, come io faccio con loro, si staranno chiedendo quale ruolo avrò in azienda.
Alle otto e trenta spaccate Cristina Nosella, responsabile delle risorse umane di Cgn, apre i lavori. Cede la parola al fondatore Giancarlo Broggian, il quale s’interrompe quasi subito. Dopo aver bussato al vetro della porta, sta entrando un ragazzo.
«Scusate il ritardo, c’era un incidente in autostrada» si giustifica mortificato.
Cristina ne approfitta per spiegare cosa succede in questi casi. Chi arriva in ritardo alle riunioni è tenuto a leggere un capitolo di un libro e ne scriverà una sintesi; la mattina dopo donerà ai colleghi i contenuti da lui rielaborati. Il ritardo, anziché essere sanzionato, diventa un dono, un arricchimento culturale per gli altri.
Viene chiesto a ognuno di presentare se stesso, evitando di definirsi con un ruolo o un titolo di studio: «A noi interessa sapere chi sono le persone con cui lavoreremo e quali sono i loro sogni».
Mi guardo attorno. Volti sorridenti e stupore. Chi è alla prima esperienza lavorativa non sapeva cosa aspettarsi, ma di sicuro i pochi veterani non si sono mai trovati in una situazione simile.
Giulia racconta della propria attività come assessore comunale, Marco si sofferma sulla sua passione per le moto. Andrea ama l’Asia e narra del suo raid in Fiat 127 da Londra alla Mongolia. Steve, chitarrista, è a tal punto fan di Vasco da essere divenuto amico dei suoi parenti da parte di madre per coltivare una qualche forma di vicinanza. È stato anche concorrente all’Eredità. Replica Eleonora, che ha gareggiato a Caduta libera. Madre di tre figli, specializzata in torte, dice «Se non sono felice, non posso rendere felici gli altri».
Edward, il più giovane di tutti con i suoi 21 anni, si considera un Arlecchino: ogni giorno di vita e di esperienza ha aggiunto una tessera colorata alla sua maglia bianca. Vanessa si vede come l’omonima farfalla e, al pari di lei, le piace svolazzare, la valigia sempre in mano. Michele tiene corsi di educazione civica ai migranti ed è appassionato di volo. Anche Walter vola alto, ma lo fa con i piedi per terra, aggrappato al fido telescopio. Subito qualcuno gli chiede di organizzare un corso di astronomia per i colleghi, e a lui non pare vero di trovare adepti in questa passione.
Cresciuta coi nonni, Sarah ha trovato lavoro a Barcellona (e imparato lo spagnolo), quindi si è trasferita in Australia imparando l’inglese a furia di sgobbare come barista e babysitter, poi è finita in Nuova Zelanda. È a Pordenone per reinventarsi. Petra, slovacca, in Italia ci è arrivata per amore e all’università si è iscritta solo per dimostrare che la sua professoressa si sbagliava di grosso profetizzando che non ce l’avrebbe mai fatta.
All’autopresentazione non si sottrae Valeria Broggian, attuale presidente del Gruppo Cgn, dove entrò nel 1998 trovando sei colleghi ad attenderla. Oggi sono 260.
«Io ho sempre saputo che avrei fatto un lavoro nel quale poter aiutare qualcuno. Non avrei motivazione imprenditoriale senza questa finalità.»
A sorpresa, sento chiamare il mio nome. Preso in contropiede, esco dal banco e mi posiziono davanti a tutti.
A me piace raccontare storie, dico ai miei “colleghi”, trovo che l’identità di una persona, così come di un’azienda, stia nella sua storia. M’interessa scoprire cosa c’è dietro indici quantitativi di indubbio successo (fatturati, metri quadrati di sedi, numero di pratiche sbrigate), vale a dire le persone, la loro umanità, gli errori che insegnano, le cadute che spronano. Oggi sto assistendo a tutto questo, che è pura materia narrativa.
Prima, ascoltando gli altri, mi chiedevo a quale azienda tradizionale interesserebbero i loro spaccati di vita; non solo: chi altro li considererebbe elementi per decidere (in positivo) un’assunzione? Troppe stranezze, troppa imprevedibilità. E arrivo a concludere che sono proprio le nostre specificità, capaci di renderci, se non unici perlomeno “differenti”, il motivo per cui abbiamo un lavoro di qualità.