Il mondo del lavoro è un complesso sistema regolato da normative giuridiche, influenzato da indicatori economici e misurato attraverso i bilanci aziendali. Nelle imprese, l’idea che più lavoro significhi automaticamente più risultati è un concetto radicato, ma – a ben vedere - non sempre corretto. L'aziendalismo, che sfocia nello stacanovismo o, peggio, in un esaurimento nervoso da burnout, trasformando l'attaccamento al lavoro in un pericolo per la propria salute, può avere conseguenze più o meno gravi.
Ecco allora che, applicando il pensiero laterale, si scopre che ogni azienda, ogni organizzazione e ogni lavoratore sono soggetti ad una legge implicita e ineludibile – una legge matematica: quella del limite. Un concetto che, pur appartenendo al mondo dei numeri e delle equazioni alla lavagna, si applica perfettamente all’economia e alla gestione aziendale.
Se l'attività d'impresa si focalizza sull'obiettivo del massimo profitto, tale obiettivo deve – o dovrebbe – essere colto, conservando un delicato equilibrio tra curva della produttività e performance e curva del burnout. In questo modo il concetto di limite agisce da “contrappeso”, quasi a voler indicare un punto ottimale, un punto di equilibrio oltre il quale c'è la rottura, il calo di produttività, la dissipazione di energie e – ancor peggio – l'esaurimento psico-fisico.
Non vogliamo qui soffermarci sulla matematica “pura”, andando a sondare i dettagli prettamente teorici del concetto di limite – d'altronde non sarebbe questo il luogo – ma intendiamo, invece, chiarire perché tale concetto ha rilievo nel mondo dell'impresa, per le variabili “produttività” e “burnout”, facendo alcuni esempi pratici.
In estrema sintesi, il limite matematico esprime l'idea di avvicinarsi indefinitamente a un valore, senza necessariamente raggiungerlo. È un concetto che descrive il comportamento di una funzione o di una successione, quando i suoi elementi si spingono verso un certo punto, sia esso finito o infinito. In altre parole, il limite è la destinazione ideale di un processo di approssimazione, una sorta di confine invisibile che una grandezza può sfiorare sempre di più, senza mai toccarlo del tutto.
Sul piano aziendale possiamo immaginare la produttività come una funzione che cresce con l’aumento delle risorse impiegate (tempo, personale, strumenti), ma solo fino a un certo punto. Oltre quel limite, gli incrementi di input non generano più miglioramenti proporzionali e, anzi, possono provocare effetti negativi. Si produce con minor energia, in minor quantità o – peggio – con qualità inferiore.
Nella curva del burnout troviamo una dinamica simile: il carico di lavoro e la pressione possono essere sostenibili fino a una determinata soglia – e anzi sono in grado di incentivare la miglior prestazione - ma superato quel limite, si innesca un deterioramento esponenziale della performance e del benessere individuale. Proprio questo punto critico è il limite (matematico) oltre il quale la produttività non è più sostenibile e il rischio di crollo aumenta drasticamente.
Non a caso, tra gli economisti si parla di legge dei rendimenti decrescenti: aggiungere più ore di lavoro, più pressione o più personale non sempre porta a risultati migliori. Anzi, può generare effetti opposti. In altre parole, questo principio economico descrive come, oltre un certo punto, l’incremento di un fattore produttivo porti a un aumento sempre minore del rendimento, fino a diventare negativo.
Se immaginiamo due curve, una che misura la produttività, e l'altra l'affaticamento sostenibile dei dipendenti, il concetto di limite matematico - e quindi il punto di rottura - è individuabile nel punto in cui tali curve si intersecano. Con la precisazione per cui - dopo l'intersezione - scendono entrambe: la prima verso il calo di produttività, la seconda verso il burnout dei dipendenti. La produttività calerà perché lo stress riduce concentrazione ed efficienza, mentre l'affaticamento supererà la soglia di tolleranza, conducendo all'esaurimento psico-fisico.
Ecco perché tale modello, in cui il concetto di limite matematico si applica al mondo aziendale, descrive efficacemente il punto di rottura, oltre il quale il sistema lavorativo diventa insostenibile, danneggiando sia il dipendente che l’azienda.
Dal punto di vista pratico, si pensi all'impresa che introduce turni straordinari per aumentare la produzione. Inizialmente il rendimento cresce, ma dopo alcune settimane i lavoratori, esausti, commettono più errori, i macchinari necessitano di più manutenzione e la qualità del prodotto cala. L’azienda si rende conto che esiste un punto ottimale di produttività oltre il quale la performance complessiva peggiora.
Al contempo, un'agenzia pubblicitaria potrebbe decidere di prendere più clienti per aumentare i ricavi. Tuttavia, con il personale già al massimo della capacità, i tempi di consegna si allungano, la creatività cala e i clienti iniziano a lamentarsi della qualità del lavoro. La direzione comprenderà allora che il team ha un limite oltre il quale il valore prodotto diminuisce, vanificando i guadagni aggiuntivi.
Il concetto di limite matematico è - quindi - applicabile alla produttività aziendale e al burnout, soprattutto se si considerano dette curve come funzioni di una variabile indipendente (ad es. il tempo di lavoro o il carico di lavoro).
Ecco perché un’azienda efficiente dovrebbe ottimizzare le attività, evitando di spingersi troppo vicino ai limiti critici del sistema. Gli ingredienti dell'ottimizzazione sono ad es. gli spazi ergonomici, la tutela del diritto alla disconnessione, l'attento monitoraggio dei carichi di lavoro, il saggio uso di KPI e di software innovativi, lo smart working o gli orari flessibili.
È un equilibrio sottile, ma essenziale, che distingue un’azienda sana da una destinata a implodere sotto il peso delle proprie ambizioni. Perché, in fondo, il successo non è solo questione di crescita continua, ma di sapere quando fermarsi prima che il sistema si spezzi. Chi governa un’impresa non deve solo chiedersi “quanto posso ancora spingere?”, ma anche “qual è il limite oltre il quale sto distruggendo il valore che ho costruito?”. Una domanda che, oggi più che mai, fa la differenza tra chi prospera e chi, inconsapevolmente, sta già consumando il proprio futuro.
Un’azienda che riconosce il proprio limite (matematico) non è un’azienda che si arrende, ma un’impresa che comprende il valore del proprio capitale umano e lavora per proteggerlo e valorizzarlo al massimo.