Il grande malinteso: perché ESG e Sostenibilità non sono la stessa cosa (e perché confonderli frena la trasformazione)
di Diego Zonta
Un dato allarmante, ma realistico, circola in molti “team strategici”: circa 9 aziende su 10 considerano la rendicontazione ESG (Environmental, Social, Governance) e la strategia di sostenibilità come un unico dipartimento, un’unica funzione, un unico problema da gestire. È un errore di valutazione o un malinteso fondamentale che sta portando le imprese a costruire meticolosi team di conformità quando, in realtà, avrebbero un disperato bisogno di agili motori di trasformazione. Questa confusione sta creando un paradosso organizzativo: le aziende non sono mai state così brave a misurare il loro impatto e, allo stesso tempo, così lente a cambiarlo. La verità è che ESG e sostenibilità non sono intercambiabili. Non sono sinonimi. Richiedono competenze diverse, team diversi, metriche diverse e, soprattutto, mentalità completamente diverse. Confonderli non è solo una questione di semantica o di organigramma; è un errore strategico che definirà nei prossimi 10 anni un vantaggio o uno svantaggio competitivo determinante.
ESG: la pagella retrospettiva
Per capire la distinzione, dobbiamo prima definire i termini. L’ESG è, nella sua forma più pura, la pagella. È un framework di misurazione retrospettivo. Sono i dati, i rating e le informative che dicono agli investitori, alle autorità di regolamentazione e al mercato cosa hai già fatto. L’ESG misura la conformità, gestisce il rischio reputazionale e tiene traccia delle divulgazioni obbligatorie (come quelle richieste dalla nuova direttiva europea CSRD). La spinta all’ESG proviene in gran parte dall’esterno: investitori che chiedono trasparenza sui rischi non finanziari, agenzie di rating che valutano la performance e regolatori che impongono la rendicontazione. La domanda fondamentale a cui risponde l’ESG è: “Possiamo dimostrare che non stiamo facendo del male (o che stiamo riducendo il danno)?” È un esercizio di trasparenza, responsabilità e gestione del rischio. È essenziale, obbligatorio e incredibilmente importante. Ma non è strategia. È la registrazione dei fatti.
Sostenibilità: la tabella di marcia lungimirante
Se l’ESG è la pagella, la sostenibilità è la tabella di marcia. È la strategia proattiva e lungimirante che dà forma a ciò che l’azienda diventerà. La sostenibilità non si occupa di compilare report; si occupa di reinventare il business. Promuove l’innovazione, crea resilienza operativa e genera un vantaggio competitivo duraturo. Non si limita a misurare l’attuale consumo di acqua o di elettricità (ESG); si chiede come progettare un prodotto che non ne abbia affatto bisogno (Sostenibilità). Non si limita a rendicontare le emissioni della catena di fornitura (ESG); lavora per creare una supply chain circolare e rigenerativa (Sostenibilità). La spinta alla sostenibilità proviene dall’interno: dalla strategia, dall’innovazione, dall’R&D e dalla consapevolezza che il modello di business “business as usual” ha una data di scadenza. La domanda fondamentale a cui risponde la Sostenibilità è: “Come faremo a prosperare, creare valore e rimanere rilevanti in un mondo con risorse limitate e aspettative sociali crescenti?”
Il costo della confusione: report brillanti, trasformazione zero
Quando un CEO afferma con orgoglio: “Il nostro team ESG si occupa di tutto il nostro lavoro di sostenibilità”, ci si può probabilmente aspettare un reportage brillante e una trasformazione pari a zero. Quando si fondono queste due funzioni, l’urgenza della conformità (ESG) cannibalizza inevitabilmente l’importanza della strategia (Sostenibilità). La rendicontazione trimestrale e le richieste degli analisti avranno sempre la precedenza sulla visione decennale.
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