Il futuro che entra in ospedale: l’IA e lo sguardo di una giovane dottoressa
di Gabriele Silva
Oggi non parliamo con un professore affermato, né con un luminare della ricerca.
Oggi parliamo con chi ha appena finito di attraversare il lungo corridoio della formazione universitaria e si trova davanti alle prime porte da aprire.
Michela, neolaureata in Medicina e Chirurgia con 110 e lode, è il volto fresco e autentico di una generazione che sta entrando in corsia mentre l’intelligenza artificiale bussa alle porte degli ospedali.
Perché questa intervista? Per capire cosa significa formarsi oggi a Medicina, quali tracce di IA si incontrano tra aule e reparti, e soprattutto quale sguardo porta con sé una giovane dottoressa che non si lascia travolgere né dall’entusiasmo cieco né dal rifiuto aprioristico.
Chi è Michela
Il percorso di Michela non è quello che ci si aspetterebbe da una studentessa di Medicina.
Prima del camice, infatti, c’è stato il liceo delle scienze umane, più vicino a pedagogia e sociologia che a biologia o chimica. Una scelta che, in un primo momento, sembrava orientarla verso l’insegnamento. Poi la svolta: un test d’ingresso fallito, un anno a Biologia, la decisione di riprovarci e infine l’ammissione a Medicina.
Un cammino che racconta già molto del suo carattere: determinazione, capacità di rialzarsi e la voglia di costruire passo dopo passo il proprio futuro.
Michela non viene dal liceo scientifico, non era “allenata” su fisica e chimica, ma ha compensato con la tenacia e con una motivazione che cresceva di anno in anno. «Non ricordo un momento preciso in cui ho deciso di voler fare il medico», racconta. «Credo sia stato un desiderio maturato lentamente. Forse è stata più l’attrazione per la parte umana della professione che per la passione per la matematica o la biologia pura».
Per lei, il medico non è solo colui che cura, ma colui che sta accanto. Un’idea che ritornerà più volte nella nostra conversazione.
Il suo rapporto con l’intelligenza artificiale
Eppure, Michela non è una “fan” della tecnologia. Non è cresciuta con l’ossessione del digitale e non si è mai sentita particolarmente attratta dai software o dalle piattaforme. «Non mi è mai interessato molto, non ho mai avuto voglia di perderci tempo», ammette.
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