Il fallimento della riforma tributaria rispetto al ne bis in idem: nemmeno l’articolo 21-ter redime il doppio binario
di Alberto Calzolari
Uno degli obiettivi conclamati della riforma tributaria era l’adeguamento dell’ordinamento punitivo tributario al rispetto del diritto al ne bis in idem. È infatti noto da anni che il doppio binario sanzionatorio italiano, amministrativo tributario e penaltributario, vìola sistematicamente tale diritto, certamente nella dimensione in cui scaturisce dalla giurisprudenza della Corte EDU.
In un precedente commento su BLAST (A. Calzolari, “L’efficacia del giudicato penale di assoluzione nel processo tributario, un equivoco risolvibile applicando la CEDU”, del 17 marzo) ho illustrato come l’articolo 21-bis del Dlgs 74/2000 non riguardi il ne bis in idem (essendo strumento applicativo, seppur lacunoso e parziale, del diritto alla presunzione d’innocenza, ex articolo 6.2 CEDU); il presente commento è invece volto a dimostrare l’inutilità dell’articolo 21-ter, che statuendo “..il giudice o l’autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva”, mira a risolvere la questione della proporzionalità complessiva della doppia sanzione irrogata. Nell’intento del Legislatore, il combinato disposto degli articoli 21-bis e 21-ter (inseriti nel corpo del Dlgs 74/2000 dall’articolo 1, c.1, lett. m) del Dlgs 87/2024) costituisce la chiave per assicurare il diritto al ne bis in idem. Una volta scartato il 21-bis, si dimostrerà che anche l’articolo 21-ter non è funzionale a tale diritto, ma anzi reca più danni che benefici all’ordinamento punitivo tributario.
La norma di riferimento per la tutela del diritto al ne bis in idem è l’articolo 4P7 CEDU (articolo 4 del settimo Protocollo della Convenzione), così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU: esso impone una garanzia duplice, vietando non solo che la persona sia punita due volte per lo stesso fatto materiale (bis in idem sostanziale), ma anche che sia giudicata due volte per l’idem factum (bis in idem processuale). Con la precisazione che il ne bis in idem sostanziale riguarda la sola irrogazione della pena e non la sua esecuzione. Nella giurisprudenza della Corte EDU, infatti, ai fini del rispetto dell’articolo 4P7 mai si guarda se il cittadino ha in effetti scontato la pena (ha pagato la sanzione pecuniaria o è stato carcerato), ma se questa è stata comminata in modo definitivo (se la pena è stata eseguita semmai rileva ai fini della determinazione dell’equo indennizzo per il ricorrente vittorioso a Strasburgo). Mentre, sul piano del ne bis in idem processuale, è importante precisare ch’esso riguarda non solo il processo in senso stretto, ma anche il procedimento che lo precede; ossia, la mancata impugnazione dell’atto d’irrogazione della sanzione tributaria o l’atto di adesione all’accertamento contenente le sanzioni, rappresentano la conclusione di uno dei due procedimenti del doppio binario, e sia sul piano processuale che su quello sostanziale sono in grado di far maturare quel bis da cui l’articolo 4P7 CEDU mira invece a proteggere i soggetti indagati. Si tratta di precisazioni importanti, poiché paiono ignorate non solo dal legislatore e dai giudici nazionali, ma anche da parte della dottrina.
È altresì il caso di precisare che il lungo novero di strumenti premiali (potenziati ulteriormente con la riforma di cui al citato Dlgs 87/2024), volti a evitare il processo penale in caso di completa estinzione del debito tributario, oppure a ridurre la sanzione penale nella medesima ipotesi estintiva, non valgono a tutelare il diritto al ne bis idem: da un lato, infatti, si tratta di un diritto fondamentale incondizionato, non di un premio che il cittadino deve conquistare con l’esecuzione della sanzione di uno dei due binari punitivi; dall’altro lato, invece, la riduzione della sanzione penale non evita la maturazione del bis in idem processuale e neppure del bis in idem sostanziale. Quanto poi al principio di specialità ex articolo 19 (invero di applicazione sconosciuta), al rapporto tra procedimenti ex articolo 20 e alla riscossione delle sanzioni amministrative per le violazioni penalmente rilevanti ex articolo 21 del Dlgs 74/2000, è evidente che non sono in grado di assicurare né il diritto al ne bis in idem processuale né a quello sostanziale; per quest’ultimo avendo a mente che già rileva la sola irrogazione della sanzione (anziché la sua esecuzione, fermo restando il danno comunque cagionato al soggetto cui è irrogata, pur senza riscossione, una sanzione tributaria, in termini p. e. di recidiva).
L’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 21-ter, più sopra enucleato, risponde alla necessità di adeguamento all’evoluzione della giurisprudenza delle Alte Corti europee, in particolare alla sentenza resa in Corte EDU 15.11.2016, Causa A. e B. v. Norvegia, In questa sede è importante affermare che l’approdo cui è giunta la Corte EDU (anche attraverso le successive pronunce rese in ambito tributario) è stato completamente recepito dalla Corte costituzionale, in particolare con la fondamentale sentenza n. 149 del 16/6/2022. Con essa la Consulta ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 649 del cpp nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171-ter della L 633/1941 (sulla protezione del diritto d’autore), che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento per l’illecito amministrativo di cui all’articolo 174-bis della medesima legge. Peraltro, la Consulta era già pervenuta al medesimo risultato, ossia all’integrale acquisizione dei criteri della citata sentenza A. e B. v. Norvegia, con due pronunce rese in ambito tributario (cfr. Corte cost. 222/2019 e 114/2020, ove tuttavia la q.l.c. era stata respinta a cagione di vizi nella motivazione del giudice rimettente; per approfondimenti vedi A. Calzolari “La lunga marcia per il riconoscimento del ne bis in idem nell’ordinamento tributario italiano”, in Riv. Tel. Dir. Trib. n. 2/2020). Ebbene, la Corte costituzionale ha riconosciuto che il doppio binario punitivo non è in sé vietato, ma che per ottemperare al diritto al ne bis in idem ex articolo 4P7 CEDU occorre il simultaneo rispetto dei quattro requisiti che definiscono la stretta connessione materiale dei due procedimenti, oltre al requisito della stretta connessione temporale dei medesimi. Nell’ipotesi in cui non sia rispettato singolarmente ognuno di questi cinque requisiti, la duplicazione dei procedimenti (e dei processi) diventa lesiva dell’articolo 4P7 CEDU e, per il suo tramite, dell’articolo 117 della Costituzione. Analizzeremo il contenuto dei cinque requisiti in un prossimo intervento; in questa sede sia sufficiente palesare che il quarto dei requisiti della stretta connessione materiale è rappresentato dalla proporzionalità complessiva delle sanzioni irrogate all’esito del doppio procedimento, e in particolare la necessità che il secondo giudice tenga conto delle sanzioni che sono state comminate nell’altro procedimento, già giunto a conclusione. Se è vero che nel doppio binario tributario non sono rispettati:
a) il requisito della differente e complementare finalità dei due procedimenti punitivi, avendo piuttosto entrambi un obiettivo di deterrenza e repressione, a protezione dell’interesse erariale;
b) il requisito del coordinamento e dell’interazione tra le autorità procedenti nei due binari, in modo che sia evitata la duplicazione della ricerca delle prove e la loro valutazione secondo canoni differenti;
c) il requisito dello svolgimento parallelo dei due procedimenti, di talché un procedimento non inizi quando l’altro è già terminato, oppure non conosca termine a distanza di diversi anni dall’altro;
ebbene, con tali premesse è evidente che la novella normativa sulla proporzionalità complessiva del trattamento sanzionatorio, che impone al giudice del secondo processo di tener conto delle sanzioni già irrogate nel primo procedimento, diventa inutile ai fini del rispetto del ne bis in idem.
Teoricamente l’articolo 36-ter potrebbe servire a ridurre i motivi di attrito rispetto ai requisiti della stretta connessione materiale tra i due binari, ma a ben vedere non è utile neppure a tal fine. Infatti, il legislatore non è riuscito a tradurre in una norma applicabile il criterio enunciato dalla Corte EDU: “tener conto delle sanzioni già irrogate nel primo procedimento” è un enunciato certamente valido come principio giuridico, si tratta della linea d’indirizzo che avrebbe dovuto imporre al legislatore nazionale di adottare una formula attuativa, cioè una disciplina che trasponesse il principio in un meccanismo di ponderazione della seconda sanzione da irrogare. Il legislatore avrebbe almeno potuto guardare a quanto avvenuto in materia di mercati finanziari, laddove, per contrastare le varie violazioni in tema di market abuse (anch’esso afflitto dal mancato rispetto del ne bis in idem), è stato modificato, con formula certamente perfettibile, l’articolo 187-terdecies del TUF (Dlgs 58/1998), che ora recita: “l’esazione della pena pecuniaria … è limitata alla parte eccedente quella riscossa, rispettivamente, dall’autorità ammnistrativa ovvero da quella giudiziaria”.
L’articolo 21-ter viceversa non fornisce alcuna indicazione sul come perseguire l’obiettivo della proporzionalità del complessivo trattamento sanzionatorio, lasciato alla piena discrezionalità (dunque all’arbitrio) dell’autorità che arriva per ultima. In questo modo la norma anziché conseguire il risultato auspicato sul diritto al ne bis in idem, o almeno sul rispetto del principio di proporzionalità della sanzione, finisce con il dare luogo all’indeterminatezza della pena, trascinando il doppio binario tributario in un’ulteriore dimensione di illegittimità. La vaghezza dell’articolo 21-ter rende indeterminabile la sanzione all’esito del traguardo del doppio binario, con ciò conseguendo la violazione dell’articolo 7 della CEDU, ossia del principio della legalità della pena, che ha il precipuo obiettivo di imporre agli Stati contraenti di adottare sanzioni determinabili, ossia prevedibili da parte di ogni consociato. Dunque, siamo al cospetto di una nuova manifestazione dell’eterogenesi dei fini del legislatore tributario: per scimmiottare un principio europeo, il legislatore è riuscito a violentare un caposaldo del diritto penale, lasciando nell’incertezza sulla sanzione il contribuente che abbia la sventura di infilarsi nel labirinto del doppio binario punitivo dell’ordinamento tributario italiano.
-
Foto di Ezequiel Octaviano da Pixabay