
Il disegno di legge sul femminicidio: novità importanti ma il dibattito si accende
di Francesca Negri
Il disegno di legge sull’“Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”, presentato dal governo alla vigilia dell’8 marzo 2025, mostra alcune zone d’ombra che solo il tempo e l’eventuale applicazione - se e quando verrà approvato ed entrerà quindi in vigore, anche con possibili modifiche - potranno evidenziare, ma contiene anche alcune disposizioni apprezzabili.
La norma più dirompente, e che ha già sollevato opinioni differenti, è quella che prevede il femminicidio come illecito penale autonomo. La norma punisce con l’ergastolo chi “cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”.
All’indomani della pubblicazione del disegno di legge, il dibattito fra giuristi, in particolar modo fra avvocati penalisti, si è acceso su alcune scelte contenute nel documento.
Per esempio, sul fatto che prevedere un reato autonomo fondato sulla differenza di genere si possa prestare a profili di incostituzionalità. Inoltre, che l’inasprimento delle pene (previste per i reati tipici del c.d. codice rosso quando commessi con le caratteristiche indicate nel nuovo reato di femminicidio) o l’automatismo dell’ergastolo (stabilito per il femminicidio) non abbiano un reale effetto deterrente sulla commissione dei reati. Oppure, ancora, che non sia lo strumento penale a innescare un cambiamento culturale, essendo necessario molto altro, e, in particolare, un investimento sull’educazione degli uomini affinché venga sradicata la cultura del patriarcato.
Tutti argomenti indubbiamente rilevanti, che però meriterebbero un confronto e un dibattito molto più approfonditi di quanto non si possa fare in questa sede.
Mi limito quindi a segnalare alcune disposizioni che sono, a mio parere, degne di considerazione.
Il disegno di legge, infatti, proponendosi l’obiettivo di dare una risposta alle esigenze di tutela delle vittime delle condotte di prevaricazione e violenza, ha affrontato la questione con un intervento ampio e sistematico, che non riguarda solamente la previsione del femminicidio come reato autonomo nel codice penale.
In particolare, vi sono alcune norme che hanno fornito una risposta concreta ad alcune criticità da sempre messe in evidenza da chi, come chi scrive, si occupa di questi reati, soprattutto difendendo le vittime di violenza di genere nelle aule di giustizia.
Eccone un sintetico (e necessariamente non esaustivo) riassunto.
Il disegno di legge prevede la possibilità per le persone offese dei reati da “codice rosso” di fornire al giudice un proprio parere - condivisibilmente non vincolante - sulla richiesta di patteggiamento presentata dagli imputati, con onere motivazionale da parte del giudice: la vittima, cioè, dopo essere stata avvisata della scelta dell’imputato di accedere a tale rito, può sottoporre al giudice le proprie osservazioni – naturalmente attraverso il proprio difensore – in un contraddittorio attualmente impossibile da instaurare (modifica degli articoli 90 bis, 444 e 447 C.p.p.); in particolare, può fornire deduzioni in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, all’applicazione o alla comparazione delle circostanze prospettate dalle parti o alla congruità della pena nonché alla concessione della sospensione condizionale della pena. Il giudice, se ritiene infondate queste deduzioni, deve darne conto nella motivazione. Si tratta di una novità importante: ad oggi le vittime non possono interloquire con il giudice, anche se, va detto, può destare qualche perplessità soprattutto la nuova facoltà di esprimere un parere sulla congruità della pena, prerogativa che non apparterrebbe alla persona offesa del reato.
Sono introdotti alcuni obblighi informativi. Per esempio, il dovere di informare i prossimi congiunti della persona offesa deceduta in conseguenza della condotta dell’imputato, quando ne abbiano fatto richiesta all’autorità procedente, nei casi di revoca o di sostituzione delle misure cautelari (modifica dell’articolo 299 C.p.p). Oppure l’obbligo di avvisare la persona offesa vittima dei reati da “codice rosso” e i prossimi congiunti della persona offesa deceduta in conseguenza della condotta dell’imputato quando al condannato o all’internato siano applicate misure alternative alla detenzione o altri benefici analoghi che comportano l’uscita dall’istituto (introduzione dell’articolo 58 sexies L. 26.7.1975, n. 354, ordinamento penitenziario).
È previsto il rafforzamento degli obblighi formativi per i magistrati, giudicanti e requirenti, assegnati, anche in via non esclusiva, alla trattazione di procedimenti in materia di famiglia o di violenza contro le donne o domestica (modifica dell’articolo 6 della legge 24.11.2023, n. 168): diventa per loro obbligatoria la partecipazione ad almeno uno dei corsi formativi che abbiano ad oggetto “anche la promozione di modalità di interazione con le persone offese idonee a prevenire la vittimizzazione secondaria, tenendo conto della entità del trauma e nel rispetto delle condizioni soggettive e dell’età delle vittime, e di una efficace collaborazione con i soggetti che operano nel settore della prevenzione e del contrasto alla violenza contro le donne o domestica”. Questa disposizione rappresenta una risposta concreta a quanto auspicato da molto tempo da tutti coloro i quali affrontano i processi nelle aule di giustizia: interloquire con Giudici e Pubblici Ministeri formati e specializzati significa eliminare, o almeno contenere, quei rischi di vittimizzazione secondaria che tutte le norme, a partire da quelle sovranazionali come la Convenzione di Istanbul, impongono di fare.
Infine, merita un cenno un decreto firmato parallelamente al citato disegno di legge che stanzia 8,5 milioni di euro a favore delle Università per potenziare, tra l’altro, iniziative per il contrasto della violenza di genere.
Ci vorrà tempo per esprimersi sul complesso delle disposizioni di cui si propone l’introduzione con il disegno di legge e per valutarne tutte le implicazioni e le eventuali criticità. Si tratta, infatti, di un provvedimento che consta di sette articoli, ciascuno dei quali interviene con modifiche a norme, o a parti di esse, del codice penale, del codice di procedura penale, della legge sull’ordinamento penitenziario, delle disposizioni in materia di organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero e di quelle relative alla formazione dei magistrati. Tuttavia, la sanzione penale non può rappresentare l’unica risposta alla violenza di genere. Servono misure anche – e forse soprattutto – differenti, specifiche e concrete: per sensibilizzare la collettività sull’importanza del fenomeno; per informare e aumentare la consapevolezza sulla sua enorme diffusione e sulle relative conseguenze; per educare, nelle scuole, al rispetto e all’affettività; per formare nei luoghi di lavoro, e per sostenere l’attività dei centri antiviolenza e il funzionamento dei consultori.