Il diritto di proprietà sovente violato dall'ordinamento tributario italiano
di Alberto Calzolari
Lo scorso 25 aprile la Corte EDU ha pubblicato la decisione Kuwait Petroleum Italia Spa v. Italia, all’esito della richiesta del Governo di un accordo stragiudiziale con la compagnia petrolifera, conseguente al ricorso di quest’ultima riguardo al rimborso di accise per circa 1 milione e 800mila euro.
All’origine del ricorso v’è la fornitura di prodotti petroliferi all’Arma dei Carabinieri, e l’indebito versamento delle accise da parte di Kuwait Italia: in base all’articolo 17 c. 1 lett. c) del DLgs 504/1995 (cd. Testo Unico Accise), nella versione pro tempore vigente, infatti, le forniture alle forze armate sono esenti dal pagamento delle accise.
Secondo l’articolo 14 c. 2 il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento. Ed è proprio sulla decadenza del diritto al rimborso dell’imposta che sono sorti i problemi. L’Arma dei Carabinieri ha infatti impiegato più di due anni per rilasciare alla società petrolifera la certificazione dell’uso militare della fornitura, e così la medesima società ha presentato l’istanza di rimborso all’Agenzia delle Dogane quando il termine di decadenza ex articolo 14 cit. era abbondantemente scaduto.
Kuwait Italia ha impugnato il diniego di rimborso avanti al giudice tributario (e le allora CTP e CTR di Napoli diedero entrambe ragione alla ricorrente, ritenendo incolpevole il comportamento della società), in particolare la Commissione Regionale stabilì che nel caso di specie il termine biennale di decadenza andasse computato dalla data di rilascio della necessaria attestazione da parte dell’ente militare. Su impugnazione dell’Agenzia delle dogane, la Cassazione tuttavia ribaltò il verdetto (Cass. n. 13724/2017), precisando che l’articolo 14 c. 2 del DLgs. 504/1995 detta regole inderogabili e, dunque, il rimborso dell’accisa indebitamente versata deve essere richiesto entro due anni dalla data del pagamento, a prescindere dalle cause per le quali il versamento non è dovuto. All’esito della sentenza della Cassazione, Kuwait Italia ha presentato il ricorso alla Corte EDU, contestando la violazione dell’articolo 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione (articolo 1P1 CEDU), che statuisce il diritto al pacifico godimento dei propri beni, brevemente identificato sovente come il diritto alla protezione della proprietà privata.
In ossequio alla politica giudiziaria intrapresa dalla Corte EDU negli ultimi anni, dando la massima valorizzazione all’articolo 39 della Convenzione (che disciplina la composizione amichevole delle controversie), i giudici di Strasburgo hanno sollecitato le Parti a verificare se ritenevano violato l’articolo 1P1, rammentando che si tratta di un diritto legittimamente comprimibile da parte dello Stato (specie con riferimento al pagamento delle imposte, di cui al paragrafo 3 del medesimo articolo 1P1). La Corte ha chiesto al Governo italiano se ritenesse rispettate le tre condizioni che legittimano la compressione del diritto di proprietà, in particolare se il diniego di rimborso comportasse:
a) un sacrificio, alla parte privata, richiesto dal soddisfacimento di un pubblico interesse;
b) una compressione del diritto di proprietà giustificata dalla riserva sostanziale di legge, ossia da una norma chiara, accessibile e che detta conseguenze facilmente prevedibili;
c) il rispetto del principio di proporzionalità.
Dal testo della decisione dalla Corte EDU non è dato evincere la risposta del Governo; tuttavia, chi scrive ritiene che sia facilmente rinvenibile il rispetto sia del soddisfacimento di un pubblico interesse (che è in re ipsa quanto si tratta di accertamento e riscossione dei tributi) sia della riserva sostanziale di legge, non dando adito a dubbi interpretativi la norma che fissa la decadenza biennale del diritto al rimborso delle accise. Appare viceversa evidente il mancato rispetto del principio di proporzionalità, nella sua triplice declinazione della idoneità, della necessarietà e della adeguatezza. Se il rigido rispetto del termine di decadenza per l’esercizio del diritto di rimborso appare allineato ai criteri della idoneità e della necessità, in coerenza con l’obiettivo della stabilizzazione dei flussi delle entrate erariali, non altrettanto può dirsi per il parametro della adeguatezza: nel caso in esame, infatti, il sacrifico patito dalla società ricorrente appare non bilanciato dall’obiettivo della certezza delle entrate erariali, poiché il mancato rispetto del termine biennale non è dipeso da un comportamento colpevole del contribuente. Con ogni probabilità, per questo motivo il Governo italiano ha proposto l’integrale rimborso delle accise indebitamente versate. Considerato l’accoglimento della proposta da parte della società ricorrente, la Corte EDU ha deciso che l’articolo 1P1 dovesse ritenersi salvaguardato e quindi ha deliberato la cancellazione del ricorso dal ruolo e la trasmissione al Comitato dei Ministri per le successive verifiche sull’esecuzione dell’impegno assunto dal Governo italiano.
L’articolo 1P1 è uno dei sei articoli della CEDU che risultano sistematicamente violati dall’ordinamento tributario italiano. Avremo tempo per esaminare gli altri cinque, ma in questa sede occorre rilevare come sovente le norme tributarie non paiano coerenti con il requisito della riserva sostanziale di legge (le norme tributarie difficilmente sono al contempo chiare, accessibili e con un’applicazione prevedibile, ossia priva di contrasti interpretativi tra significato letterale delle disposizioni, prassi e giurisprudenza) e nemmeno con il principio di proporzionalità. Avendo peraltro a mente che nella giurisprudenza della Corte EDU l’articolo 1P1 risulta applicato tanto agli aspetti sostanziali quanto a quelli procedurali del tributo, ossia anche alla disciplina sull’accertamento e sulla riscossione. Oltre che alla normativa sulle sanzioni. Troppo spesso il procedimento tributario non è garantito da norme chiare e trasparenti, mentre la loro applicazione avviene in violazione del criterio della adeguatezza, ossia della proporzionalità in senso stretto. Il sacrificio economico richiesto al cittadino non può mai essere eccessivo avuto riguardo alla sua condizione personale e sociale, e al suo grado di responsabilità in una data fattispecie: nell’Europa liberale e democratica si riconosce ancora la centralità della persona rispetto alle esigenze delle varie formazioni sociali in cui trova inserimento.